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di Mena Grimaldi e Antonio Pisani

 

Aversa (Caserta) –  Tutti assolti dal Tribunale di Napoli Nord gli ex manager della Cpl Concordia, Roberto Casari, Giuseppe Cinquanta e Giulio Lancia, accusati di concorso esterno in camorra nell’ambito del processo sui lavori di metanizzazione realizzati dalla coop emiliana in alcuni comuni del Casertano, quelli a più alta densità camorristica, come Casal di Principe, Casapesenna e San Cipriano d’Aversa.

Il collegio presieduto da Francesco Chiaromonte ha invece condannato i due imprenditori che hanno effettuato materialmente i lavori, Antonio Piccolo e Claudio Schiavone, rispettivamente a 10 e 6 anni di carcere, il primo per associazione camorristica, il secondo per concorso esterno. In sede di requisitoria, i pm della Dda di Napoli Maurizio Giordano e Catello Maresca, avevano chiesto pene dagli otto ai 12 anni per tutti i cinque imputati. La sentenza dunque riconosce che le opere di metanizzazione dell’agro-aversano furono realizzate da imprenditori legati slla camorra, ma  non riconosce l’esistenza del patto tra la Cpl Concordia e il clan dei Casalesi, così come ipotizzato dalla Dda, che aveva iniziato ad indagare sulla base delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Antonio Iovine, ex boss del clan dei Casalesi, catturato dopo una latitanza di quasi 15 anni. Nel giugno 2014, Iovine, detto O’Ninno, poco dopo il suo pentimento, iniziò a raccontare di come i Casalesi erano entrati nel lucroso affare dei lavori di metanizzazione che tra il 1999 e il 2003 erano stati realizzati in alcuni comuni del Casertano.

Parole che portarono all’esecuzione, nel febbraio 2015, di alcuni scavi da parte dei carabinieri del Noe, che in pieno centro a Casal di Principe, in corso Umberto, scoprirono che le tubature erano state interrate a 30 centimetri di profondità invece che ai 60 previsti. Le due dichiarazioni non sono state ritenute attendibili; un duro colpo che si aggiunge a quello arrivato pochi giorni fa, quando al tribunale di Napoli è stato assolto da un vecchio omicidio di camorra il boss dei Casalesi Michele Zagaria, che era stato accusato proprio da Iovine. Stamani intanto, nell’ultima udienza prima della camera di consiglio e della sentenza, in aula del famoso impianto illegale di citofoni che nel comune di Casapesenna (Caserta) permetteva al boss dei casalesi Michele Zagaria, durante la latitanza, di parlare con i suoi stretti congiunti; per l’accusa infatti, l’impianto arrivava anche presso la sede dell’azienda di Piccolo, la Cogepi, che confina con l’abitazione dove dimorava il fratello del boss, Carmine Zagaria. In aula oggi è stato sentito un ispettore della Squadra Mobile di Napoli, che il 26 gennaio 2015 effettuò un sopralluogo a Casapesenna a caccia proprio dei cavi dell’impianto di citofoni. Ha spiegato che i cavi uscivano dall’abitazione di via Colombo dove Zagaria fu stanato, ma si interrompevano subito dopo sulla pubblica via; l’investigatore ha raccontato però che gli accertamenti proseguirono perché un confidente aveva riferito che i cavi arrivavano fino a via Maria Ausiliatrice, dove vivono sia Piccolo che Carmine Zagaria. Qui in effetti, in alcun tombini, furono ritrovati prima 45 metri di cavo in una busta di cellophane, poi altri 25 metri; per la polizia era la prova presunta che i citofoni arrivavano anche nell’azienda dell’imprenditore; lo stesso poliziotto però ha negato che vi fossero  collegamenti di cavi tra i terreni di Piccolo e Zagaria.