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di Anna Rita Santabarbara

Casal di Principe (Ce) – “La ricerca della verità”. Così si intitola l’incontro che si è tenuto ieri pomeriggio a Casal di Principe presso la Casa Don Diana e che ha ospitato Nino Di Matteo, sostituto procuratore della Direzione Nazionale Antimafia, sotto scorta dal 1993 per la sua lotta in prima linea alla mafia, che lo ha visto protagonista delle indagini sulla morte dei giudici Falcone e Borsellino.  “La mafia non è un fenomeno locale e regionale. Il problema mafia è stato ed è un problema nazionale”, ha precisato Di Matteo, rivolgendosi alle oltre cento persone che hanno affollato la Casa don Diana, bene confiscato alla camorra, oggi sede del Comitato Don Peppe Diana. Ad accoglierlo, oltre alle associazioni tra cui Libera, FAI (Federazione Antiracket Italiana), NCO (Nuova Cooperazione organizzata) e Al di là dei sogni, due scolaresche, una di Somma Vesuviana, l’altra di Merate in Lombardia, accorsa da lontano per partecipare ad iniziative e manifestazioni sulla legalità e la lotta alla corruzione.

Già, perché quando si parla di mafia non si può non parlare di corruzione. La mafia, e la camorra con essa, esiste perché c’è un sistema politico disposto a scendere a patti con la criminalità organizzata. “Sedersi ad un tavolo per cercare un compromesso significa dare al mafioso la possibilità di interloquire e condizionare il nostro paese, significa fargli avere il coltello dalla parte del manico”, ha affermato con forza il magistrato palermitano, ricordando gli episodi che hanno visto l’ex presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, entrare in contatto con Cosa Nostra prima e dopo l’omicidio di Piersanti Mattarella. “Per sconfiggere definitivamente la mafia è necessario recidere per sempre i suoi legami con la politica. Lo Stato non può vivere nel ricatto, non può tralasciare di scoprire determinate verità solo perché ritenute troppo scabrose”.

Il magistrato ricorda, a tal proposito, alcune frasi pronunciate in carcere da Totò Riina e poi diffuse dai media nazionali. Il boss di Cosa Nostra, parlando con altri detenuti senza sapere di essere intercettato, affermava che senza la politica lui e i suoi non sarebbero stati altro che “una banda di sciacalli”. La criminalità organizzata, dunque, ha bisogno della politica per sopravvivere. E la politica per troppi anni si è piegata al gioco dei poteri criminali che, attraverso lo stragismo degli anni ’80 e di inizio anni ’90, hanno scosso le istituzioni nel profondo ed hanno visto la stipula di quella che successivamente è stata definita “trattativa Stato-Mafia”, il cui processo si sta svolgendo proprio in questi mesi a Palermo. Un processo sofferto, in cui Di Matteo, in qualità di PM, lamenta l’isolamento istituzionale e mediatico in cui è stato relegato. “Mi chiedevo – ironizza Valerio Taglione, coordinatore del Comitato Don Peppe Diana, promotore dell’incontro – ma a lei, Di Matteo, chi glielo fa fare?” Il magistrato sorride, il viso provato, lo sguardo stanco ma determinato. “Io sono cresciuto a Palermo”, risponde. “E quando ero giovane io, Palermo stava vivendo i suoi anni peggiori. Forse per voi casalesi o campani è lo stesso: quando un palermitano metteva piede fuori da Palermo o, peggio, fuori dalla Sicilia, immediatamente il suo nome veniva associato a quello di mafioso. E a me questa cosa faceva rabbia. Poi, improvvisamente, due giudici, Falcone e Borsellino, hanno sollevato il problema mafia e lo hanno portato all’attenzione nazionale. Ecco, per me e per la mia generazione quei giudici sono stati una forma di riscatto sociale. Un modo per dire, non siamo tutti uguali”.

La stessa sorte che tocca a Casal di Principe, Casapesenna, San Cipriano d’Aversa. Paesi che più di altri sono identificati oggi con l’appellativo di camorristi. Ma la Casa don Diana e la presenza di Di Matteo a Casal di Principe oggi, a pochi giorni dalla commemorazione della morte di don Peppe Diana il prossimo 19 marzo, vuole essere un segnale di rinascita e di riscatto sociale. Un riscatto che deve partire prima di tutto dall’azione dei cittadini. “In Sicilia sono gli imprenditori del nord che quando hanno problemi con le autorizzazioni, o quando desiderano comprare un terreno ad un certo prezzo, cercano contatti con le famiglie mafiose locali per ottenere ciò che vogliono attraverso l’intimidazione”, spiega il magistrato. “Ciò non deve essere consentito”. Eppure, su quasi 60.000 detenuti nelle carceri italiane, racconta il PM, meno di 20 sono stati condannati per corruzione. Sandro Ruotolo, giornalista intervenuto durante l’incontro, minacciato da Michele Zagaria per le sue inchieste sui rifiuti tossici in Campania, sottolinea che “lo stragismo può tornare”. L’unica via possibile, allora, è quella di “fare rete”, di creare un sistema in cui attraverso la società civile e una maggiore coscienza civica la piaga della corruzione venga debellata. 

Bisogna essere “capatosta, cioè avere la testa dura, come si dice da queste parti”, dice Renato Natale, sindaco di Casal di Principe, la cui amministrazione, ironizza, “fu sciolta dai camorristi più volte per infiltrazione legale”. “E allora perché continuiamo ad insistere?” si chiede Natale. Si guarda intorno, guarda alle foto delle vittime di camorra che coprono ogni angolo delle mura della Casa Don Diana. “La risposta l’abbiamo su queste pareti intorno. È per queste persone che siamo qui. Quando nel tuo percorso sono caduti amici, colleghi, come fai a mollare? Continuare diventa un obbligo”. E non a caso, la parola d’ordine usata più frequentemente durante il dibattito è stata “Resistenza”.