- Pubblicità -
Tempo di lettura: 4 minuti

di Anna Rita Santabarbara

Fumi neri sui cieli di Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna. Rifiuti plastici, scarti industriali, ecoballe che improvvisamente prendono fuoco e costringono gli abitanti delle zone circostanti a barricarsi in casa per mettersi al riparo, se e per quanto possibile, dalle nubi tossiche. Scene viste e riviste al tg regionali e nazionali ormai decine di volte, replicate proprio nelle scorse settimane in provincia di Benevento, a Casalduni e a Bellona nello specifico, dove ad andare a fuoco è stata l’Ilside, per la seconda volta in 5 anni.

80 gli impianti di deposito di rifiuti arsi in tutta Italia, di cui 9 solo nella capitale, per un totale di 261 roghi negli ultimi tre anni. Focolai che non possono essere considerati frutto di casualità e che tracciano una mappatura dell’Italia in fiamme tale da poter estendere il concetto di Terra dei Fuochi a tutta la penisola. Chi e perché appicca gli incendi nei siti di stoccaggio? Quali sono i danni all’ambiente e ala salute?

Queste le domande lanciate questa mattina a Casa Don Diana, a Casal di Principe, nel corso della conferenza stampa sugli impianti di rifiuti in fiamme voluta dall’Ordine dei Giornalisti della Campania in concerto con Polieco, il Consorzio nazionale per il riciclaggio dei rifiuti dei beni a base di polietilene (plastica, per intenderci). Un incontro che ha visto l’intervento di alti esponenti delle istituzioni, tra cui la direttrice di Polieco, Claudia Salvestrini, il presidente di Polieco, Enrico Bobbio, l’ex magistrato e Procuratore della Repubblica di Civitavecchia, Gianfranco Amendola, il procuratore aggiunto della Dda di Bari, Roberto Rossi, il procuratore aggiunto di Santa Maria Capua Vetere, Alessandro Milita. Presenti anche la senatrice PD, Laura Puppato, la senatrice M5S, Paola Nugnes, il deputato pentastellato Antonio Del Monaco e l’assessore alla cultura e all’ambiente di Casal di Principe, Mirella Letizia.

L’idea sulla quale hanno insistito tutti i relatori è l’indissolubile legame tra le problematiche ambientali e il danno alla salute. “Dobbiamo smetterla di guardare agli incendi nei siti di stoccaggio o nelle discariche come a qualcosa di casuale. Dobbiamo superare la convinzione che i tumori siano una disgrazia che succede perché deve succedere. Proviamo a invertire il linguaggio. Proviamo a parlare di atto terroristico. Perché una cosa è certa, chi appicca gli incendi un danno lo fa ed è gravissimo: distrugge la salute”. Così ha esordito Roberto Rossi, procuratore aggiunto della DDA di Bari.

Un danno alla salute di cui si può chiaramente percepire la gravità se si considera che l’80% dei rifiuti prodotti in Italia sono rifiuti industriali.

Quando un sito di stoccaggio o un deposito prende fuoco tutto ciò che in esso era contenuto va in fumo. I cosiddetti rifiuti illeciti, quelli che avevano bisogno di un trattamento particolare per essere smaltiti, vanno in cenere e chi fa le indagini non ha possibilità di risalire ai colpevoli. “Chi arriva sul posto al momento dell’incendio, infatti, non sa cosa era contenuto in quel sito”, sottolinea l’ex magistrato Gianfranco Amendola, “non conosce la quantità e la qualità dei rifiuti. Questi incendi servono a distruggere le prove”. Non a caso, molti roghi sono collegati, secondo quanto emerge dalla relazione condotta dalla Commissione bicamerale d’inchiesta sulle attività connesse al ciclo illegale di rifiuti, a realtà del settore che hanno subito un’ispezione, un sequestro o un precedente incendio di rifiuti.

A ciò va aggiunto che molti siti di raccolta e smaltimento non sono a norma, a volte violano anche le più basilari regole di prevenzione antincendio, talvolta sono dotati di sistemi di videosorveglianza guasti e fuori uso. Cosa fare allora? Sanzionare, è l’unico rimedio possibile per il procuratore aggiunto di Santa Maria Capua Vetere, Alessandro Milita. Ma Claudia Salvestrini, direttore di Polieco, insiste che la soluzione esiste ed è la prevenzione. In che modo? Attuando controlli capillari ed efficaci, mirati a far chiudere, se necessario, chi non rispetta le regole, per impedire i danni ancora più ingenti alla salute e all’ambiente. “I rifiuti devono diventare un’opportunità”, chiarisce Salvestrini. “Producono materia prima attraverso il riciclo evitando l’utilizzo di materia vergine e offrono posti di lavoro”. Tuttavia l’attuale quadro economico nazionale, ricorda Milita, pone limiti alla soluzione del problema in quanto il personale regionale che deve effettuare i controlli ai siti di deposito e smaltimento appare considerevolmente ridotto in termini numerici e, quello che c’è, talvolta non ha le competenze necessarie.

La soluzione potrebbe essere, secondo Enrico Bobbio, presidente di Polieco, se non si incentivassero più i comuni e le imprese sulla base della quantità dei rifiuti raccolti, ma piuttosto sulla qualità del riciclaggio prodotto. “Bisogna riciclare bene e riciclare in sicurezza”.