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Di Marilena Natale e Nicola Baldieri

L’état, c’est moi” diceva Luigi XIV. “Je suis la France” affermava qualche secolo e mezzo dopo il presidente francese Charles de Gaulle. Discutibili, opinabili come affermazioni. Vabbè si tratta comunque di uomini che hanno fatto la storia della Francia. “Il potere logora chi non ce l’ha” è stato il “mantra” dell’andreottismo, la frase guida, lo slogan degli slogan. Dalle nostre parti di Gomorra qualche sindaco indagato afferma “la città è roba mia”. Pensa di essere, forse, la reincarnazione del Re Sole. Ha velleità di diventare il nuovo Belzebù in chiave aversana. Dei poveri evidentemente. Ebbene, il sindaco in carica Enrico De Cristofaro, sotto inchiesta dall’antimafia napoletana per turbativa d’asta e corruzione è nelle facoltà di dire pubblicamente che la città di Aversa è roba sua? Nessuna polemica intanto dopo l’intervista. Palesemente ad Aversa e nell’Agro aversano è tutto consentito, nessun limite alla decenza e al rispetto che impone il ruolo istituzionale di Primo cittadino. Non ci vogliamo soffermare oltremodo sull’ultima boutade dell’architetto-sindaco. Si darebbe un peso specifico malizioso ad un uomo dal profondo spirito goliardico. È altro su cui bisogna riflettere e che forse sfugge ai più. Lo scorso 22 giugno presso il Tribunale di Napoli Nord sono stati invitati a comparire 16 ex amministratori di Trentola-Ducenta “per la declaratoria di incandidabilità” avanzata dal Ministero degli Interni a seguito dello scioglimento anticipato del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose. Nell’atto notificato agli ex amministratori si parla di “un’amministrazione comunale contraddistinta dalla ulteriore presenza di amministratori e dipendenti, sul cui conto la commissione di accesso ha evidenziato significativi pregiudizi penali, nonché relazioni parentali e frequentazioni con persone ‘controindicate’, laddove i rapporti di connivenza con soggetti malavitosi sono stati ritenuti dalla giurisprudenza quale elemento sintomatico di condizionamento camorristico”. Le carte al Ministero se le sono lette e anche bene. Vedremo come va a finire la brutta storia dell’incandidabilità per gli uomini dell’ex sindaco Michele Griffo. Legami parentali, frequentazioni ambigue e ‘controindicate’ al centro della querelle giudiziaria. Ma questo vale per chi ha ricoperto il ruolo di pubblico amministratore e perché non dovrebbe valere per chi fa opere pubbliche usufruendo dei soldi dei contribuenti? Tutto ciò per gli imprenditori dalle parentele ‘scomode’, dalle frequentazioni dubbie non vale. Ad Aversa è tutto consentito.  Lavori di somma urgenza, ristrutturazioni di complessi ex monastici, appalti. Chiunque voglia, con l’avallo della Prefettura, che sull’argomento dorme sonni tranquilli, lo può fare. Come sanciscono varie inchieste Antimafia che hanno riguardato anche gli appalti pubblici nella città normanna il fenomeno della corruzione, turbativa d’asta e l’intromissione della criminalità organizzata sono più che un’evidente realtà.  Cominciamo dall’appalto di via Fermi, la ditta vincitrice fu la Bretto Costruzioni,  il comune chiese più volte alla prefettura referenze, su quella ditta, ma la richiesta rimase lettera morta. L’amministratore della società Bretto Antonio fu prima indagato dalla DDA, ma malgrado ciò cominciò i lavori, continuarono fino alla fine, malgrado la stampa avesse più volte scritto che Bretto era coinvolto  in un’ inchiesta della DDA. L’urlo cadde nel vuoto con l’amara consolazione che Bretto, fu arrestato lo scorso mese di Marzo.  Ma nella città normanna le  cose vanno anche peggio, perché ancora oggi  qualche imprenditore di grosso calibro si ‘muove’ indisturbato. Con la complicità evidente dell’attuale e delle vecchie amministrazioni, gli è permesso tutto. Eppure la direzione distrettuale antimafia napoletana ha interrogato qualcuno di loro come persona informata sui fatti. A proposito dell’appalto dell’Area Pip nella zona delle Palazzine. I clan quando si tratta di fare speculazioni sono a proprio agio. Hanno gli uomini giusti al posto giusto. Sempre. Si doveva lavorare per l’Area Pip. Il Comune di Aversa indisse la gara. Dopo poco fu annullata “per la rinuncia dell’imprenditore avvicinato dall’ex capoclan dei casalesi Antonio Iovine”, detto ‘o ninno, oggi collaboratore di giustizia. L’ex boss dei casalesi Antonio Iovine sarebbe intervenuto presso l’imprenditore Michele Russo che si era aggiudicato l’appalto da 25 milioni di euro indetto dal Comune di Aversa, per la realizzazione dell’area Pip, costringendolo a rinunciare, per poi far aggiudicare i lavori all’azienda di cui era socio occulto: “sapemmo che era certa l’aggiudicazione all’imprenditore Michele Russo, cugino di Michele Russo (ucciso a San Cipriano di Aversa nel luglio dell’88 – nda). Fu lo stesso Ferdinando Di Lauro a riferirmi che il Russo sarebbe stato scelto anche perché in ottimi rapporti con l’ingegnere Pitocchi del comune di Aversa. Io pensai di convocare il Russo e chiedergli di acquistare il terreno che aveva in precedenza comprato il Di Lauro con la persona di Napoli, ma gli chiesi una somma sproporzionata che ricordo essere di sei milioni di euro, ben superiore al valore reale del terreno” – racconta il collaboratore Antonio Iovine. Il Russo “escusso dalla Polizia Giudiziaria sulle ragioni di tale rinuncia, ha attribuito la sua decisione ad un suo atto discrezionale ed ha negato qualsivoglia intervento di Iovine sul fatto, sicché la Polizia Giudiziaria ha interrotto l’atto procedendo agli adempimenti ex art. 63 c.p.p.” (dichiarazioni indizianti – nda). Non sembra che il Russo abbia presentato mai formale denuncia. Forte delle sue amicizie passate e attuali con i Sagliocco sembra godere di un’ottima reputazione. Come statuito dal Consiglio di Stato (sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743), “è estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (né – tanto meno – occorre l’accertamento di responsabilità penali, quali il “concorso esterno” o la commissione di reati aggravati ai sensi dell’art. 7 della legge n. 203 del 1991), poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell’informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante”. In parole povere non serve essere stato sfiorato da un’inchiesta per avere l’interdittiva antimafia. “I fatti che l’autorità prefettizia deve valorizzare prescindono, infatti, dall’atteggiamento antigiuridico della volontà mostrato dai singoli e finanche da condotte penalmente rilevanti, non necessarie per la sua emissione … ma sono rilevanti nel loro valore oggettivo, storico, sintomatico, perché rivelatori del condizionamento che la mafia, in molteplici, cangianti e sempre nuovi modi, può esercitare sull’impresa anche al di là e persino contro la volontà del singolo”. Alla Prefettura di Caserta, dunque, la risoluzione del problema. Ricordando a tutti che sbagliare è umano ma perseverare è diabolico.