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Dal centro città alla provincia. Il comune denominatore è la violenza. Bande di ragazzini armati di coltelli, spranghe, catene e tanta ferocia. Non è più questione di smartphone, di piccoli reati predatori o isolati episodi a scopo intimidatorio. Veri atti criminali compiuti da ragazzini che molto spesso hanno una età inferiore ai quattordici, minimo fissato per il perseguimento penale dei minori. Scorrono ancora le immagini della fermata del bus piena di sangue in Via Foria, come un ricordo amaro indelebile, che ha segnato per sempre la vita di Arturo mentre rincasava e quell’aggressione quasi fatale. Coltellate ovunque e poi dritti alla gola con la giugulare recisa e i problemi alle corde vocali che non si risolveranno facilmente. E poi le ripetute violenze a Chiaia, stupro di un quartiere bello e martoriato. Quel cuore della movida nella città che batte forte nei weekend a suon di sparatorie e atti criminali: da quella tra le bande di San Giovanni a Teduccio e il Rione Traiano per le piazze di spaccio, fino ai balordi che si ammazzano per uno sguardo di troppo. Proprio come è successo al Vomero e quelle parole che fanno paura, più di ogni altra cosa: “Li abbiamo accoltellati perché sono ricchi”.

Oltre ogni elemento di ricerca pedagogica e sociologica che potrebbe soggiacere a tali affermazioni, resta il silenzio di una città, il gelo di una parte di gioventù impaurita e il disarmo dei genitori per un futuro pieno di ombre. Di esempio sono i moniti di Maria Luisa Iavarone, la mamma di Arturo, esperta di formazione che sa fondere il sapere scientifico con quello di una madre che ha visto suo figlio in una pozza di sangue.  Ha richiamato alla rete territoriale tra istituzioni, scuole, famiglie e associazioni che sul territorio svolgono un ruolo fondamentale per i giovani. E su questo punto, forse, bisognerebbe battere. Tra i giovani che hanno accoltellato Arturo in Via Foria c’è chi ha una età inferiore ai quattordici anni e l’ordinamento, in questi casi, prevede che i giovani responsabili di reato vengano affidati nuovamente alle famiglie. Perché, forse, più che problema di baby – gang è questione familiare. E’ lì che si realizza la formazione del bambino prima e del giovanissimo poi. E’ in quella realtà così bella ma così complicata dove la formazione diviene l’elemento di discrimine per la costruzione della personalità, del carattere, del temperamento. Per ora resta la voce di una città che si mette in marcia contro la violenza ma che difficilmente riesce a reagire nella individualità dei singoli, attraverso la denuncia personale e familiare di episodi di violenza perché, in ogni caso, vince la morale, per paura e per mancata compromissione, che “una sola noce nel sacco non fa rumore”.