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Napoli – È la camorra di “Gomorra”, quella che ha ispirato serie e libri, che ha seminato morte e odio, che ha lasciato al suolo quasi cento morti, molto dei quali innocenti. Uno di questi è Antonio Landieri, un ragazzo disabile che non ha fatto in tempo a scappare e che la camorra ha ucciso scambiandolo per un altro, un nemico. Uno dei boss, Gennaro Notturno, uno di quelli che la guerra l’ha fatta con i mitra e le bombe, ha deciso di parlare con i pm. Un verbale lunghissimo quello di Gennaro Notturno, datato addirittura a maggio nel quale racconta di un raccapricciante omicidio, quello di Antonio Landieri, ucciso per errore il 6 novembre del 2004 in un circolo di Scampia.

LA VILLA DEGLI ORRORI – «Ci trovavamo a Varcaturo nella villa dove ci riunivamo di solito noi dopo la scissione avvenuta con il duplice omicidio di Montanino e Salierno e dove prendevamo le decisioni per fronteggiare la reazione dei Di Lauro. Presenti eravamo io, mio cugino Arcangelo Abete, Raffaele Amato, Carmine Cerrato, Carmine Pagano, Rito Calzone, Ciro Caiazza, Antonio Caiazza, Lucio Carriola, Elio Amato, Giacomo Migliaccio, Gennaro Marino, Ciro Mauriello ed affrontammo il problema dei sette palazzi. Dovevamo infatti liberare i sette palazzi dagli affiliati ai Di Lauro. In particolare in quella riunione si decise di uccidere Salvatore Meola detto Vittorio, gestore della piazza per conto dei Di Lauro. Tommaso Prestieri aveva una piazza più avanti, mentre Meola l’aveva nei pressi del salumaio. Ai Meola, noi Amato-Pagano avevamo mandato a chiedere tramite Patrizio Grandelli e Francesco Irace di girarsi con noi, ma Meola aveva rifiutato. Fu Raffaele Amato a prendere la decisione di far uccidere Meola e tutti noi presenti concordammo. Si concordò che l’omicidio dovevano prendere parte i cafoni, ovvero gli Abbinante, che dovevano dare un contributo, che così avrebbe dimostrato che prendevano parte alla scissione con noi. Lì presente non vi era nessuno del gruppo Abbinante e così fu deciso che io avrei preso parte all’organizzazione e all’esecuzione materiale dell’attacco ai Sette palazzi in ragione del fatto che noi Notturno, in virtù del matrimonio di mia sorella con Massimiliano De Felice, eravamo imparentati con gli Abbinante. De Felice venne ucciso in quella stessa faida. Quindi dovevo far conoscere l’ordine al gruppo di fuoco degli Abbinante che si trovava al Monterosa. Il giorno successivo a questa deliberazione io incontro Giovanni Esposito a casa di mia sorella a Qualiano e costui era il referente degli Abbinante».

LA DECISIONE DI UCCIDERE – «Gli comunico la decisione di uccidere Meola e di attaccare i Sette Palazzi. Giovanni Esposito si mette a disposizione. Ciro Caiazza il giorno dopo mi consegnò uno zaino con all’interno una mitraglietta usata per il duplice omicidio di Montanino-Salierno e poi tre calibro 7,65 tutte fornite da Raffaele Imperiale. Il giorno dopo partimmo da Varcaturo. Venne poi a prendermi Francescone Davide che all’epoca era il fidanzato della nipote di Cesare Pagano. Mi porta con la Punto Bianca a casa di Pasquale Riccio e lì c’erano Pasquale, Giovanni Moccia, Giuseppe Carputo, Giovanni Esposito. Erano tutti pronti. Venne deciso di fare ingresso nei sette palazzi con la Fiat Punto e lo scooter. La punto venne guidata da Francescone, io stavo avanti armato con la mitraglietta, dietro vi erano Carputo e Moccia ed Esposito era con lo scooter guidato da Riccio. Il progetto era quello che io dall’auto ed Esposito dallo scooter doveva scendere ed uccidere Meola. Moccia e Carputo dovevano fare da copertura».

IL CIRCOLO DELLA MORTE – «Ci avviamo alle 19,30. La Punto avanti e la moto dietro. Arrivammo nei pressi del biliardino che stava sotto una piccola tettoia e vide Meola. Aprii la porta scendendo dall’auto che Francescone fermò. Non riuscii nemmeno a fare tre metri che Moccia fece fuoco contravvenendo agli accordi e un proiettile colpì il mio polso sinistro e per il dolore feci partire una sventagliata con la destra. Sull’avambraccio sinistro ho poi tatuato un cuore a metà con due rose e le iniziali, una è per Gelsomina Verde. Successivamente non si è capito nulla. Sparai un’unica raffica Esposito, Moccia e Carputo correvano sotto i porticati e facevano fuoco. Non so dire se la mia raffica ha colpito qualcuno ma ebbi moto di notare che c’erano ragazzi che non appartenevano a Meola. Dopo l’omicidio tornati a porto della Punto andammo verso Varcaturo. Io lì fui curato da un medico che era amico di Raffaele Amato e a nostra disposizione».