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Raffaele Biancolino non ha semplicemente riportato l’Avellino in Serie B. Ha risvegliato un popolo, riacceso un fuoco che da troppo tempo ardeva sotto la cenere. Il Pitone ha preso in mano una squadra ferita e una piazza diffidente, e con la forza del cuore, della fede e della follia buona ha riscritto il destino.

Quando il 17 ottobre 2024 ha accettato la panchina dei Lupi, molti lo chiamavano pazzo. Ma lui vedeva già qualcosa che gli altri non vedevano: una curva piena, una città in festa, un sogno che tornava possibile. È partito da lontano, con umiltà e coraggio, sfidando ogni pronostico, ogni dubbio, ogni ostacolo. Perché chi ama davvero non teme nulla.

Con sé non ha portato solo moduli e tattiche, ma valori profondi: lealtà, appartenenza, passione. Ha stretto un patto d’anima con i suoi calciatori, anche quando serviva lo scontro per arrivare alla verità. Ha trovato piena sintonia con il presidente Angelo Antonio D’Agostino, con Giovanni D’Agostino che ha avuto il coraggio di scommettere su un uomo, non su un nome. Fratello vero con Mario Aiello, complice e alleato in un cammino che sembrava impossibile.

Biancolino ha riportato l’orgoglio a un popolo martoriato da illusioni e promesse mancate. Ha restituito dignità a chi soffriva in silenzio sugli spalti e nei bar, a chi vive l’Avellino come un’identità prima ancora che come una squadra. E lo ha fatto con autenticità, con quel bacio al logo sulla tuta che non è marketing, ma amore puro. Con quella voglia di ballare sotto la Sud, come un tempo, con la fame e la gioia di chi non ha mai dimenticato da dove è partito. 

“Ci credevo dall’inizio –  racconta Biancolino – Il mio obiettivo era ridare gioia a una piazza che ha sofferto tanto. Vedere la gente felice e festante è la mia più grande soddisfazione.” L’allenatore ricorda le difficoltà iniziali e le critiche ricevute: “Mi dicevano che ero pazzo, che non ero pronto per una panchina così importante. Ma io ci ho sempre creduto, fin dal primo giorno, e oggi abbiamo riportato l’Avellino dove merita di stare”.

“Il braccialetto che porto al polso ha l’immagine della Madonna di Montevergine – racconta – Sono profondamente devoto, le ho fatto una promessa. Il giorno prima della partita con la Turris sono salito al Santuario per chiedere forza e protezione”. “nfine, conclude con parole d’amore verso la città che considera casa: “Vivo ad Avellino, conosco tutti. È questa la mia forza in più, quello che mi spinge a dare sempre il massimo. In tutto quello che si fa, bisogna crederci sempre”.