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Sulla norma approvata a maggio scorso dal Parlamento, graverebbe un duplice sospetto della procura regionale della Corte dei Conti: di essere un salvacondotto per la Campania, e pure incostituzionale. Da quanto si apprende, sono dubbi da sciogliere solo con un approfondimento. Siamo al processo erariale sui compensi ai portaborse del consiglio regionale, al via dopodomani 26 giugno, con una probabile richiesta di rinvio dell’udienza. Si appresterebbero a chiederla al collegio giudicante i sostituti procuratori Davide Vitale e Mauro Senatore, titolari dell’indagine.

A mettere in guardia la Procura, dapprima, sarebbero stati i rumors mediatici. E con più forza successivamente le comparse, depositate il 6 giugno dai legali dei 17 citati a giudizio. Nel mirino 7 consiglieri in carica e sei ex, tutti dell’ufficio di presidenza dell’aula. Con loro anche quattro alti dirigenti del Consiglio. Si ipotizza un danno erariale complessivo di 3,6 milioni di euro. Sotto i riflettori gli anni tra il 2019 ed il 2022: i portaborse sarebbero stati pagati come dirigenti. Nel processo sul punto di partire, in molti casi le memorie difensive parrebbero eccepire proprio la rilevanza di una norma nuova di zecca. Una disposizione inserita nel decreto P.a., convertito in legge a inizio maggio. Una presunta salva consiglieri e dirigenti della Regione, cui si contesta l’erogazione di maxi indennità agli staffisti. Tuttavia, i primi sospetti in procura sarebbero aleggiati un paio di mesi fa. Già il 23 aprile Anteprima24 dava conto delle indiscrezioni. Voci insistenti, circolanti anche in consiglio regionale. In quelle ore era in via di approvazione un emendamento alla Camera. Passerà anche al Senato, 15 giorni dopo, il testo emendato del ddl “Disposizioni urgenti in materia di reclutamento e funzionalità delle pubbliche amministrazioni”.

Con riguardo ai dipendenti degli Uffici di diretta collaborazione del presidente del consiglio, la norma intende fare “salvi gli atti e i provvedimenti adottati dalle regioni in adeguamento alle disposizioni del decreto legislativo 30 marzo 2001″, nonché “gli effetti prodotti e i rapporti giuridici sorti sulla base degli stessi”. L’intento sarebbe di carattere interpretativo, sul quadro legislativo in materia. A firmare l’emendamento è stato il deputato leghista Gianpiero Zinzi, non rientrante tra i politici tirati in ballo dalla Procura, come nessun altro del suo partito. Dopo iniziali richieste di delucidazioni, anche dal Pd hanno chiarito di non essersi opposti in commissione a Montecitorio. Nei giorni dell’approvazione, il parlamentare casertano Zinzi ha rivendicato l’obiettivo di sanare “un’ingiustizia nei confronti dei dipendenti regionali e dei componenti dell’Udpc”, e di chiarire “che la norma sugli uffici di diretta collaborazione degli organi politici trova applicazione anche ai consigli regionali, come è logico che sia vista l’identità della funzione“.

Dal canto loro, in Procura sarebbero intenzionati a chiedere più tempo per valutare la questione. I 20 giorni a disposizione non sarebbero considerati sufficienti, per una vicenda complessa. E anche nell’ottica della migliore collaborazione processuale, si riterrebbe necessaria una fase di studio, utile a fornire un contributo consapevole alla materia. Potrebbe essere dunque concesso un breve rinvio, a subito dopo l’estate. Trascorse queste settimane, la Procura potrebbe chiedere un ricorso incidentale alla Consulta. Sotto esame la disposizione reputata ‘Ad Campaniam’. Ma su questo deciderebbe la sezione giurisdizionale della Corte, unica legittimata a farlo.