Si è chiuso con una condanna a 7 anni e 6 mesi di reclusione il processo di primo grado che a Napoli ha visto imputati per corruzione l’immobiliarista ed editore Alfredo Romeo e il suo collaboratore, l’architetto Ivan Russo, quest’ultimo condannato a 4 anni e 6 mesi di carcere.
I giudici della prima sezione penale del Tribunale di Napoli hanno escluso il coinvolgimento dell’imprenditore, patron della Romeo Gestioni, e del suo dirigente, da alcuni capi di accusa. E tuttavia le pene inflitte in primo grado sono risultate pesanti, più di quelle chieste, al termine della sua requisitoria, dal pm di Napoli Henry John Woodcock (rispettivamente 6 anni e 8 mesi, e 4 anni e 2 mesi) attualmente in forza alla Direzione distrettuale antimafia. I difensori degli imputati – gli avvocati Giovan Battista Vignola e Francesco Carotenuto, per Romeo, e gli avvocati Gian Domenico Caiazza e Alfredo Sorge, per Russo – si sono detti “stupiti” per “una severa sentenza di condanna incomprensibile nel merito e totalmente incoerente con la prova dibattimentale raccolta”.
La Procura di Napoli contestava a Romeo sei ipotesi di corruzione e una di frode nelle forniture, mentre al suo dirigente tre presunti episodi corruttivi. Nel novembre 2017 fu emessa una misura cautelare agli arresti domiciliari che successivamente venne annullata dalla Cassazione e l’inchiesta vide coinvolti molti altri indagati, ora in attesa di giudizio davanti a un altro giudice. Gli episodi contestati riguardano presunti favori e regali a un ex dirigente, a dipendenti del Comune di Napoli, ad altri pubblici funzionari e a una funzionaria della Soprintendenza di Roma. Si tratta di episodi stralciati da un’altra inchiesta iniziata quasi 10 anni fa suddivisa in tre parti: una è andata a Roma (il cosiddetto caso Consip), un’altra è rimasta a Napoli con una cinquantina di imputati e ruota intorno agli appalti dell’ospedale Cardarelli (il processo è in corso), la terza è quella conclusa oggi, iniziata nel 2018 e riguardante fatti risalenti al 2015-2016.
Per gli avvocati è inverosimile che uno dei più importanti imprenditori italiani abbia potuto, con il suo dirigente, “corrompere alcuni pubblici funzionari in un caso offrendo una pianta ornamentale del valore di poche decine di euro”, in un altro dando ospitalità in un albergo “in cambio di un provvedimento clamorosamente pregiudizievole per i suoi interessi”. “Ed ancora – aggiungono – sarebbe stata offerta una cena del valore di circa 200 euro a un pubblico ufficiale in cambio di presunti favoritismi in alcuni marginali controlli amministrativi”.
“Leggeremo le motivazioni della sentenza, che ovviamente impugneremo, curiosi di conoscere quali sarebbero, in tutte queste vicende, gli atti contrari ai doveri di ufficio posti in essere dai funzionari pubblici asseritamente corrotti con simili, grottesche prebende”, concludono i legali.