Da oltre dieci anni la provincia di Benevento vive una crisi idrica cronica, una vergogna che si ripete ogni estate come una condanna scritta. Rubinetti a secco, cittadini costretti a fare scorte d’acqua come fossimo in un Paese del terzo mondo, interi quartieri lasciati all’asciutto mentre il termometro segna temperature da deserto.
Eppure, la politica? Assente. Silenziosa. Distratta. Perché finché il malcontento restava circoscritto alle lamentele di quartiere, nessuno muoveva un dito. Anni di promesse vuote, tavoli tecnici che servivano solo a fare passerelle, e zero soluzioni concrete.
Oggi, però, improvvisamente tutti si svegliano. Sindaci, amministratori, consiglieri: tutti pronti a indignarsi, a fare post infuocati, a rilasciare dichiarazioni roboanti. Perché? Non per la sete dei cittadini, ma perché l’Alto Calore ha deliberato un aumento delle tariffe del 30%.
E allora sì, che il problema diventa politico. Perché l’aumento colpisce le tasche degli elettori e fa perdere consenso. Perché la rabbia della gente è esplosa e non si può più far finta di niente.
Ma dove erano questi stessi politici quando si distribuivano incarichi senza merito, quando si potevano pretendere piani seri di manutenzione, quando bisognava mettere pressione a chi gestisce il servizio idrico? Dove erano quando c’era da difendere l’interesse pubblico e non le poltrone?
Oggi li vediamo puntare il dito contro l’Alto Calore, come se fosse piovuto dal cielo. Scaricano responsabilità, cercano capri espiatori, fingono indignazione. Ma la verità è che questa crisi è figlia di anni di incapacità, connivenze e silenzi colpevoli.
L’acqua è poca, la papera non galleggia e la politica ci ‘sbeffeggia’. Nel frattempo scarseggia anche la coerenza, il coraggio e la dignità di chi dovrebbe amministrare il bene comune.