“La Regione Campania non è il bancomat dell’Alto Calore Servizi, basta palliativi perché ACS è in coma”. Con queste parole Nicola Cataruozzolo interviene duramente sulla gestione dell’azienda idrica irpina, accusando l’attuale dirigenza di aver aggravato una crisi che va avanti da oltre vent’anni.
Secondo Cataruozzolo, il dissesto non è riconducibile alle presunte imposizioni dell’ARERA, ma alle mancanze della società stessa: le sanzioni milionarie inflitte all’ente non dipendono dal mancato adeguamento tariffario, bensì dal fatto che Alto Calore non ha mai trasmesso i dati obbligatori sulla qualità del servizio (interruzioni, perdite idriche, qualità dell’acqua).
Altro nodo cruciale riguarda le tariffe: i soci dell’azienda avevano approvato un incremento del 3,5% annuo, ritenuto sufficiente a garantire l’esecuzione del concordato e a scongiurare il fallimento. L’attuale amministrazione, però, ha scelto di applicare il massimo aumento consentito, arrivando ad un rincaro del 50% complessivo, decisione assunta in autonomia dall’Amministratore Unico.
Cataruozzolo solleva dubbi pesanti: l’aumento così drastico potrebbe nascondere nuovi debiti accumulati nell’ultimo anno, che renderebbero insufficiente il piano di risanamento concordatario. Nel frattempo, l’azienda continua a perdere circa 4,5 milioni di euro l’anno e il debito, dopo il salvataggio in extremis, “è letteralmente esploso”.
Tra le criticità elencate: blocco delle letture dei contatori (con rischio di prescrizioni e perdite economiche ingenti), assenza di un sistema digitale di monitoraggio delle portate idriche, mancata attivazione delle gare per la riparazione delle reti e nessuna azione incisiva di recupero crediti. A ciò si aggiunge il mancato rispetto del piano industriale e l’aumento delle spese per la manutenzione, con migliaia di perdite idriche ancora irrisolte.
Da qui la stoccata finale: in un’azienda commissariata e in concordato, l’Amministratore Unico – sostiene Cataruozzolo – dovrebbe fare un atto di responsabilità, dimettersi o quantomeno ridurre il proprio emolumento, che ammonta a circa 6.500 euro al mese.