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Una mossa, quella della vendita dell’auto da Impagnatiello alla cognata, che, secondo il Tribunale, sarebbe servita per “diminuire la consistenza patrimoniale” dell’ex barman e farlo risultare nullatenente, anche nell’ottica dei risarcimenti nel processo per l’omicidio, nel quale è stato condannato all’ergastolo in primo e secondo grado. Il giudice Francesco Pipicelli ha dato ragione alla famiglia di Giulia, rappresentata dagli avvocati Rosario Santella e Giovanni Cacciapuoti, secondo cui quella macchina sarebbe stata venduta alla cognata di Impagnatiello solo al “fine di sottrarre il predetto bene alle ragioni creditorie dei familiari di Giulia Tramontano”.  In quell’auto il femminicida aveva nascosto e trasportato il corpo della giovane. 
 
Alla famiglia di Giulia ciò che interessava era che questa macchina, sulla quale era stato nascosto e trasportato il corpo, non circolasse più liberamente, dato che non era stata sequestrata dalla Procura”. Lo ha spiegato l’avvocato Giovanni Cacciapuoti, legale dei familiari di Giulia Tramontano, a proposito della sentenza del Tribunale civile di Milano che ha condannato la cognata di Alessandro Impagnatiello a risarcire la famiglia della giovane uccisa dall’ex fidanzato. Poco più di 19mila euro di risarcimento e 5mila euro di spese legali.
I genitori, il fratello e la sorella di Giulia, come ha chiarito il legale, hanno intentato quella “azione civile per la revocatoria della vendita dell’auto” – con prima udienza discussa lo scorso novembre mentre si stava concludendo il processo penale di primo grado sull’omicidio – per impedire che la macchina “andasse in giro liberamente, anche perché la Procura all’epoca aveva disposto solo il sequestro del pianale posteriore, dove erano state trovate tracce di sangue”.
Allo stato, di quell’auto non c’è più traccia perché, come risulta anche dagli atti della causa civile, la cognata e il fratello di Impagnatiello lo scorso ottobre hanno denunciato che è stata rubata, anche se poi la compagna assicuratrice non ha risarcito il furto.
 
Quando è iniziato il processo a Impagnatiello e abbiamo visto gli atti – ha spiegato l’avvocato Cacciapuoti – ci siamo accorti che la Procura non aveva sequestrato l’auto”. Poi, i legali della famiglia hanno saputo anche che, pochi giorni dopo l’arresto, Impagnatiello “aveva fatto entrare in carcere un notaio e attraverso di lui aveva conferito la procura legale” a suo fratello Omar di disporre dei propri conti e dei propri beni. E la macchina era stata venduta attraverso il fratello Omar a sua moglie, cognata dell’ex barman. Il giudice, dichiarando con sentenza la nullità della compravendita dell’auto, scrive che “è avvenuta tra parenti/affini, ben consapevoli tutti delle ragioni risarcitorie degli odierni istanti”, ossia dei familiari di Giulia, “e della diminuzione della garanzia generica a favore di questi per la riduzione (azzeramento) della consistenza patrimoniale del debitore”, ovvero Impagnatiello.