Negli ultimi anni l’Italia ha conosciuto una fase di crescita che ha sorpreso molti osservatori. Dopo la recessione del 2020, il prodotto interno lordo è aumentato di oltre il dieci per cento tra il 2021 e il 2022, riportando l’economia ai livelli pre-pandemia e collocando il Paese tra i migliori in Europa. La crescita si è poi stabilizzata, ma senza interrompersi, consentendo di mantenere una traiettoria positiva e in linea con i principali partner continentali. L’occupazione ha raggiunto nel luglio 2025 la soglia record di 24,1 milioni di lavoratori, con la disoccupazione scesa al 6,7 per cento, il minimo dal 2009. Parallelamente, le agenzie di rating hanno rivisto al rialzo l’outlook sul sistema Paese, segnalando una maggiore fiducia dei mercati internazionali.
Questi risultati non sono stati casuali. Sono stati il frutto di una combinazione di fattori: l’attuazione del PNRR, che ha già mobilitato oltre 70 miliardi di euro di risorse, generando un effetto leva significativo anche sugli investimenti privati; la stagione dei prestiti garantiti dallo Stato, che ha dato ossigeno a migliaia di imprese durante le fasi più critiche; il credito d’imposta legato alla ZES Unica, che ha offerto al Mezzogiorno una leva concreta di competitività. La combinazione di queste misure ha innescato un ciclo virtuoso: le imprese hanno potuto rinnovare macchinari, digitalizzare processi, assumere nuove risorse.
Oggi, però, si profila un rischio evidente. Tre strumenti che hanno contribuito a questa stagione di crescita rischiano di esaurirsi nello stesso arco temporale. Il PNRR è destinato a chiudersi entro il 2026. Le garanzie pubbliche, che negli anni scorsi hanno reso possibile il credito bancario a condizioni sostenibili, sono finite al centro del dibattito politico: il ministro Giorgetti ha annunciato la volontà di ridurle drasticamente, ma senza garanzie statali le banche tenderanno ad alzare i costi o a ridurre l’erogazione di prestiti, con il risultato di penalizzare soprattutto le PMI che stanno investendo. La ZES Unica, infine, non ha ancora un orizzonte certo oltre il prossimo anno. Occasioni e misure che si chiudono contemporaneamente rischiano di privare il motore della crescita del carburante necessario per continuare a girare.
Se si guarda agli altri Paesi europei, il confronto non è rassicurante. La Francia, che non vive una stabilità politica, ha comunque prorogato fino al 2030 il credito d’imposta per ricerca e innovazione e ha lanciato un piano pluriennale per la transizione industriale da oltre cinquanta miliardi. La Germania, pur in un contesto di rigore finanziario, ha istituito un fondo straordinario da duecento miliardi per accompagnare la trasformazione energetica e sostenere l’industria fino al 2027. La Spagna, dal canto suo, ha scelto di trasformare parte delle risorse del Next Generation EU in strumenti permanenti di supporto alle piccole e medie imprese e ai processi di digitalizzazione. L’Italia rischia invece di essere l’unico grande Paese a ridurre simultaneamente incentivi, garanzie e investimenti pubblici proprio nel momento in cui la crescita aveva ricominciato a consolidarsi.
Non si tratta di invocare un prolungamento indefinito di misure straordinarie. È evidente che non si possa vivere di emergenze perpetue. Ma è altrettanto evidente che passare da una fase espansiva a un vuoto normativo e finanziario rappresenterebbe un errore strategico. La sfida non è quella di moltiplicare i sussidi, bensì di trasformare l’esperienza straordinaria in una politica ordinaria di sviluppo.
Serve dunque un percorso che renda permanenti le condizioni di competitività create in questi anni. Un quadro fiscale semplice e automatico per chi investe in innovazione, digitalizzazione ed export; un sistema di garanzie pubbliche selettive che non sostituisca il mercato ma lo accompagni, garantendo l’accesso al credito a imprese solide con piani di crescita; una ZES che non sia un incentivo a tempo, ma una piattaforma stabile di attrazione internazionale, fondata su semplificazioni amministrative, logistica moderna e certezza delle regole.
Il nodo di fondo è la costruzione di un nuovo patto tra Stato, imprese e sistema bancario. Alle istituzioni spetta il compito di garantire stabilità normativa e programmare con anticipo la fase post-PNRR. Al credito privato spetta la responsabilità di accompagnare le imprese nella crescita, non solo di selezionare i rischi. Al sistema produttivo spetta la prova di trasformare incentivi e agevolazioni in lavoro stabile, innovazione e sostenibilità.
Il ciclo espansivo degli ultimi anni ha dimostrato che il Paese è in grado di crescere quando vengono messi a disposizione strumenti adeguati. La domanda ora è se l’Italia saprà consolidare questa crescita o se, al contrario, rischierà di disperderla. Non servono promesse, serve programmazione. Non servono misure spot, ma visione. La vera sfida non è stata crescere: sarà continuare a farlo.
Flavian Basile – presidente Ance Benevento