di Gigi Caliulo
Chi è senza peccato “posi” la prima pietra. Ancora una volta, per la verità. La storia del PalaSalerno è una Scala di Escher in salsa nostrana. O salsedine, vista la vicinanza marittima del suo cantiere infinito. Un baraccone trentennale che deborda non solo di erbacce e scheletri fatiscenti, di prime pietre posate a cadenza quasi quinquennale, di lavori affidati e ditte fallite, di progetti irrealizzabili e continue modifiche. Il “troppopieno” dell’area dove si attende da sette lustri la nascita del Palazzetto lascia fuoriuscire promesse, progetti, plastici, rendering e tagli del nastro. Tutto a scapito delle realtà sportive salernitane, orbate da sempre di una struttura idonea ad una progettualità quantomeno dignitosa.
Siamo in tempo d’elezioni, il fermento adrenalinico legato alle promesse e ai progetti è l’elisir di lunga vita venduto all’uomo qualunque. Ma parafrasando Baglioni qui non vediamo alcun “cavaliere blu che liberò le gru dalle lamiere di un cantiere”. Ché la ruggine, ahinoi, si è attaccata alle illusioni.
Salerno posa della prima pietra del nuovo Palasport da 5.500 posti