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Un’altra caduta rovinosa, proprio quando un po’ di luce stava finalmente penetrando nello spogliatoio. Il Benevento esce con le ossa rotte dal quindicesimo turno di campionato e vede riavvicinarsi il baratro. Solo tre punti di vantaggio sull’ultima in classifica, il Perugia, e penultimo posto condiviso con ben quattro squadre. Resta la differenza reti – che tra l’altro a fine stagione non sarebbe neppure la prima discriminante – a tenere la Strega fuori dalle posizioni che conducono alla retrocessione diretta. Una doccia gelata per una squadra che nella vittoria esterna con la Spal e nel pareggio in rimonta con la Reggina in Calabria aveva trovato nuova linfa, complice lo svuotamento dell’infermeria e il recupero di tanti elementi.

A inchiodare Cannavaro ci sono numeri che iniziano ad essere preoccupanti se non proprio già terrificanti. La media del Pallone d’oro non raggiunge il punto a partita, si ferma a 0,88 in 9 gare, persino peggio del suo criticato predecessore Fabio Caserta attestatosi in questa stagione a 1,16 punto di media in 6 gare in panca. In casa, il dato di Cannavaro si abbassa addirittura a 0,6: nessuna vittoria, tre pareggi e due sconfitte dal suo avvento nel Sannio. Troppo poco nonostante i numerosi alibi legati all’iniziale emergenza infortuni. 

Diverse le note stonate di una serata che era stata preceduta da abbondanti aspettative. La squadra è parsa scollata, gli individualismi hanno preso il sopravvento e lo stesso allenatore non è parso esente da colpe. Non tanto per la scelta di tentare l’effetto sorpresa con il 4-2-3-1 iniziale, modulo che visti gli interpreti avrebbe dovuto consentire di azzannare l’avversario, ma per gli sviluppi in avvio di ripresa. Cannavaro ha tentato un all-in schierando dal primo minuto Forte, La Gumina e Farias per lanciare un messaggio preciso, ma non è stato ripagato con la giusta precisione dai suoi interpreti offensivi, tutti offuscati dal nervosismo. Meno comprensibili i cambi del 60′, quando privandosi di Farias e Forte in luogo di un Simy ancora fuori condizione e di un Tello confusionario,  ha abbassato ulteriormente il baricentro dei suoi nonostante la situazione di svantaggio appena maturata. 

Non regge la scusante di un arbitraggio insufficiente (al di là dei singoli episodi, Baroni non ha convinto nella gestione di varie situazioni), il Benevento avrebbe potuto e dovuto fare di più contro un avversario tutt’altro che irresistibile. Il possesso palla ha toccato ancora vette altissime (58%) ma è risultato improduttivo. Un solo tiro nello specchio, varie situazioni sprecate in contropiede, ultimi passaggi sempre sbagliati e leggerezza nei contrasti hanno fatto il resto. Non è un caso che il gioco di rimessa del Palermo al novantesimo sia stato premiato da tutte le statistiche offensive: pericolosità, tiri nello specchio e occasioni create tutte in favore dei rosanero. E non di poco.

C’è di più. In un mare di errori tecnici è mancato soprattutto il carattere, lacuna evidenziata senza mezzi termini anche dal capitano Gaetano Letizia (“Se non giochiamo da squadra facciamo fatica”). Un aspetto preoccupante all’inizio di una settimana che prevede altri due impegni delicatissimi: la trasferta di Parma nel giorno dell’Immacolata e la gara interna con il Cittadella. La sfida a una ‘big’ del campionato che lotta per la promozione e un altro scontro diretto casalingo contro una squadra che viaggia sulle ali dell’entusiasmo dopo la splendida vittoria del Ferraris contro il Genoa.

Specialmente quello con i veneti sarà l’ennesimo confronto-verità. Al Vigorito hanno già vinto in troppi, soltanto il Venezia ha raccolto meno punti tra le mura amiche (4 contro i 6 dei sanniti). Ormai, senza poter più fare distinzioni tra casa e trasferta, l’appuntamento con la vittoria non è più procrastinabile, le altre rischiano di scappare via.