Ottantuno anni fa moriva Gramsci, quelle sue “notti infernali” a Benevento

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Ottantuno anni fa moriva Antonio Gramsci. A stroncarlo, una emorragia cerebrale. Il drammatico e inevitabile epilogo di una prigionia devastante.

In cella, Gramsci trascorse gli ultimi undici dei suoi quarantasei anni. Una sofferenza insopportabile per il suo debole fisico, provato sin dall’infanzia.

Il regime fascista acconsentiva alla sua completa liberazione solo pochi giorni prima della morte, giunta all’alba del 27 aprile, in una clinica di Roma,

Tra i fondatori, nel 1921, del Partito Comunista Italiano, il suo pensiero ha influenzato generazioni su generazioni. Ancora oggi Gramsci è tra gli intellettuali del Novecento più tradotti al mondo. E lo sarà ancora per molto tempo. Merito dell’unicità e della modernità dei suoi scritti.

E proprio dal buio delle carceri Gramsci diede luce ad alcune delle sue opere più significative, raccolte nei Quaderni.

Ma sono le Lettere inviate a familiari e amici a legare questa straordinaria personalità alla nostra terra.

Nel 1928, infatti, Gramsci, sofferente di uricemia cronica, veniva trasferito dal carcere romano di Regina Coeli alla casa penale speciale di Turi, a Bari. Dodici giorni di viaggio con soste a Caserta, Benevento e Foggia.

Il racconto delle notti nel capoluogo sannita ci restituisce uno spaccato angosciante dei patimenti sofferti dal politico sardo nel corso della lunga reclusione. Anni vissuti tra privazioni e dolori dilanianti. Un tormento lancinante ma incapace di piegare una mente straordinaria.

Lucida, libera e illuminante sempre, nonostante il poco riposo di cui riusciva a godere in prigione (“Sono mesi che dormo 45 minuti a notte”).

Il 20 luglio del 1928, Gramsci scriveva a Tatiana Schucht, la cognata Tania – tramite privilegiato con il mondo esterno -:

Carissima Tania,

sono giunto a destinazione ieri mattina. Ho trovato la tua lettera del 14 e una lettera di Carlo con 250 lire. Ti prego di scrivere tu a mia madre per comunicare quelle cose che possono interessarla. D’ora in poi scriverò solo ogni 15 giorni una lettera, ciò che mi porrà dinanzi a dei veri casi di coscienza. Cercherò di essere ordinato e di utilizzare al massimo la carta disponibile.

1°. Il viaggio Roma-Turi è stato orribile. Si vede che i dolori da me sentiti a Roma e che mi sembravano un mal di fegato, non erano che l’inizio dell’infiammazione che si manifestò in seguito. Stetti male in modo incredibile. A Benevento trascorsi due giorni e due notti infernali; mi torcevo come un verme, non potevo stare né seduto, né in piedi, né sdraiato. Il medico mi disse che era il fuoco di S. Antonio e che non c’era da far nulla. Durante il viaggio Benevento-Foggia il male si calmò e le bolle di cui ero ricoperto nella vita destra si seccarono. A Foggia rimasi 5 giorni e negli ultimi 3 giorni ero già a posto, potevo dormire qualche ora e potevo sdraiarmi senza essere trafitto dai dolori. Mi è rimasta ancora qualche bolla mezzo secca e un certo dolore alle reni, ma ho l’impressione che non si tratti di una cosa grave. Non so spiegare l’incubazione romana che durò

circa 8 giorni e che si manifestava con violentissime punture interne nella vita destra anteriore.

2°. Non ti posso ancora scrivere nulla sulla mia vita avvenire. Sto facendo i primi giorni di quarantena, prima di essere assegnato definitivamente ad un reparto. Penso che però tu non possa mandarmi nulla oltre ai libri e agli effetti di biancheria: non si può ricevere nulla di alimentare.

Perciò non mandare mai nulla senza che io prima te l’abbia domandato.

3°. I libri da Milano (Libreria) falli spedire direttamente: è inutile che tu spenda per trasmettere ciò che deve essere già affrancato.

4°. Il memoriale non c’era piú: l’ho dovuto prendere con me.

Le ciliegie mi sono state utilissime, quantunque io non le abbia neppure assaggiate: mi hanno facilitato il viaggio.

Ricevo in questo momento la tua lettera del 19, con la lettera di Giulia. Vorrei scrivere a lungo a Giulia, ma non riesco a impostare la lettera cosí come vorrei. È difficile da scrivere. Vedrò la prossima volta, dopo essermi riposato un po’ ed aver messo un po’ d’ordine nelle mie idee.

Scrivile tu e mandale le notizie solite.

Carissima, scrivi a Carlo che anche lui non si metta in testa delle stranezze, come sarebbe di far venire la mamma fino a Turi. Sarebbe un delitto far fare a una vecchia che non si è mai mossa dal paese un viaggio cosí lungo e disagiato. E poi penso che avrebbe una impressione troppo brutta nel vedermi vestito da recluso ecc. ecc.

Ti abbraccio teneramente.

Antonio”.

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