Benevento – Non debemus, non possumus, non volumus. Non dobbiamo, non possiamo, non vogliamo. O più semplicemente, “Not in my name”.
Il probabile, almeno a questo punto, accordo di governo tra il Movimento Cinque Stelle e la Lega non piace a Nicola Sguera, consigliere comunale pentastellato a palazzo Mosti e tra le personalità più influenti nell’universo grillino beneventano e sannita.
“Non potrò rimanere in un movimento politico che fa accordi con una forza il cui elettorato è nutrito di pulsioni razziste, che guarda al Front National come modello politico e che nella sua storia è stato puntello del berlusconismo a giorni alterni dal 1994” – scrive Sguera sulla sua pagina Facebook.
Una presa di posizione certo clamorosa, destinata a far discutere, ma che non deve sorprendere. D’altronde, tanto per citarne una, all’alba della recente campagna elettorale, Sguera polemizzava duramente con il sindaco Clemente Mastella, che da poco aveva annunciato l’ingresso in Forza Italia, ritenendo inconciliabili le posizioni di un cattolico praticante con quelle “razziste” della Lega.
Dinanzi alla prospettiva del patto Di Maio-Salvini, dunque, e potremmo richiamare in causa la famosa scena del bacio comparsa sul muro di via Collegio Caparanica a Roma il 23 marzo, Sguera suona il campanello, prenota la fermata, e annuncia che la corsa, per lui, sta per concludersi: “Nel giorno in cui si formalizzerà tale accordo uscirò dal M5S e mi dimetterò dalla carica di consigliere”.
Una scelta coerente e trasparente, dunque. Spiegata con un articolo sul suo blog che riportiamo integralmente.
“Sono entrato nel Movimento 5 Stelle nel 2014, dopo anni di disaffezione rispetto alla politica (e il solo avvicinamento ad ALBA).
Nel mio passato la militanza in Rifondazione Comunista (alla fine degli anni Novanta) e la candidatura a Sindaco in una lista civica (nel 2001).
Sono stato eletto portavoce al Comune di Benevento nel 2016 con 800 voti.
Ho affrontato con impegno, lealtà ed entusiasmo tutte le campagne elettorali: quella per le Europee del 2014, quella per le Regionali nel 2015, le Amministrative del 2016, quelle politiche del marzo scorso, che hanno visto eletti quattro parlamentari sanniti.
Ho seguito la discussione politica di questi due mesi con qualche perplessità (anche sulle strategie comunicative).
Ritengo doveroso ora intervenire per un’onestà intellettuale che devo prima di tutto a me stesso.
Al di là di quanto fatto fino ad ora, ritengo inaccettabile continuare il dialogo con una forza politica (la Lega, ex Lega Nord) in base all’assunto che essa sia una “potenziale” forza di cambiamento. Basta ripercorrere la storia di quella che è la più “vecchia” forza presente in Parlamento per rendersi conto che siamo di fronte ad un inganno: nata negli anni Ottanta, sotto ispirazione di un pensatore (di spessore) come Gianfranco Miglio (studioso di Schmitt), la Lega di Umberto Bossi era secessionista e antimeridionalista.
Al grido di «Roma ladrona», ha contribuito all’eclisse della “questione meridionale”, sostituita nelle parole d’ordine dalla “questione settentrionale”. Accordatasi con Berlusconi (il cui ruolo in quel giro di anni, all’inizio dei Novanta, appare sempre più ambiguo nel legame con poteri oscuri) e, per proprietà transitiva, con un partito post-fascista come Alleanza Nazionale (nata dalle ceneri del MSI), la Lega condivideva le istanze ultraliberiste del primo berlusconismo, incarnato dal ministro Antonio Martino, formatosi alla scuola di Friedman. Gli uomini-immagini erano rozzi predicatori dell’odio razziale come Mario Borghezio.
Da allora la Lega, svolgendo la funzione speculare a Rifondazione Comunista per il centro-sinistra, ha puntellato i governi di centro-destra o li ha fatti cadere, annacquando a seconda delle circostanze il proprio messaggio politico, trasformando la secessione in richiesta di federalismo spinto, divenendo partito di riferimento della piccola e media borghesia dell’Italia del Nord ma radicandosi anche nei ceti operai. Divenuta parte integrante del sistema, viene travolta dallo scandalo del 2012. La vicenda segna la fine politica di Umberto Bossi e del suo cerchio magico e vede l’ascesa come segretario di Matteo Salvini, che ha trasformato la Lega Nord in Lega con l’ambizione, originariamente in competizione con Forza Italia, di farla divenire il Front National italiano e facendola volare prima nei sondaggi, poi nelle elezioni.
Se dovessimo sintetizzare l’ideologia della Lega salviniana, diremmo che essa si fonda sul rifiuto dell’Europa (e dell’Euro), su politiche antimigratorie con pesanti venature razziali (che arriva addirittura ad ammettere il “piano Kalergi”), rimanendo espressione di quell’individualismo proprietario che è patrimonio genetico del partito.
L’attuale Presidente della Camera, Roberto Fico, ebbe a dire pochi mesi fa: «Vi garantisco che mai noi saremo alleati con la Lega anche dopo il voto: siamo geneticamente diversi». Condivido in pieno tale affermazione («Siamo geneticamente diversi»), che per me rimane valida senza se e senza ma per due motivi che spero siano chiari:
1) che la Lega sia una forza del cambiamento (potenzialmente) sarebbe tutto da dimostrare: una sorta di scommessa pascaliana che sinceramente non credo abbia una contropartita per cui valga la pena farla. Al contrario, a partire dal 1994 essa è stata, in maniera ondivaga, puntello del berlusconismo (e lo è tuttora nel governo dei territori);
2) l’ideologia della Lega è intrisa di valori che a mio avviso sono incompatibili con l’approccio del M5S: volere un’altra Europa (e chiedere il referendum sull’Euro) non significa rinnegare l’europeismo in nome delle “piccole patrie”; chiedere una soluzione razionale e umana del problema dell’immigrazione non significa diventare razzisti; la rivendicazione di un nuovo legame sociale che è alla base del M5S («Nessuno deve rimanere indietro») è incompatibile con l’individualismo proprietario.
Quello che chiedo al mio Movimento è chiarezza. Io posso impegnarmi (e l’ho fatto) fino a stare male fisicamente. Mi dono totalmente ad una causa quando credo in essa. Ma non sono più disposto a deleghe in bianco a nessuno. L’altro ieri Luigi Di Maio ha detto che iniziava la campagna elettorale. Benissimo. Preferirei non si votasse a luglio, ma è vicenda marginale. Ciò che conta è che non si metta in discussione, per l’ennesima volta, questa decisione. Il M5S è una forza essa sì potenzialmente rivoluzionaria, portatrice di un cambiamento di modi e contenuti della politica, come ci sta ripetendo un pensatore a me carissimo come Marco Guzzi in seminari rivolti ai nostri parlamentari. Si rimanga fedeli a tale assunto (questo è il mio auspicio). Ma se si prende atto che ciò non è possibile, in un quadro proporzionale, è che, dunque, è finito il tempo della “purezza”, si affronti una discussione seria in tutto il Movimento e che coinvolga tutti gli attivisti e i portavoce, e ne emerga una strategia condivisa (e non calata dall’alto), strategia che riguardi tutti i livelli d’azione del M5S, non solo quello parlamentare. Insomma, non è possibile iniziare la campagna elettorale e leggere che si continua a dialogare con una forza che puntella il potere berlusconiano e i suoi interessi. Né tanto meno, almeno per quanto mi riguarda, è pensabile che si faccia il “ballottaggio” con la Lega tra luglio e dicembre, per poi governare con lei. Insomma, reclamo rigore, coerenza e, soprattutto, chiarezza.
P.S. Il mio incarico di portavoce è ovviamente a disposizione in qualunque momento. Non potrei continuare a svolgerlo non condividendo le scelte di fondo del M5S o sapendo di non goderne la fiducia”.
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