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Avellino – Trecentosettantotto pagine divise in trentatré paragrafi ed un deposito giunto con ventiquattro ore di anticipo rispetto ai novanta giorni previsti in dispositivo. Sono i numeri della sentenza sulla strage del bus, l’incidente stradale più grave della storia avvenuto il 28 luglio 2013 sul cavalcavia di Acqualonga e costato la vita a 40 pellegrini che tornavano a Pozzuoli.

“Non si è verificata alcuna violazione di una regola cautelare nella loro attività e quindi l’evento non è riconducibile ad una loro condotta omissiva colposa”. È questo il passaggio chiave delle motivazioni della sentenza pronunciata nel dicembre scorso dal Tribunale di Avellino che assolse tra gli altri il dg di Autostrade per l’Italia, Giovanni Castellucci, imputato insieme ad altre 14 persone per la morte di 40 persone precipitate il 28 luglio del 2013 a bordo del bus dal viadotto Acqualonga dell’A16 Napoli-Canosa, nel territorio del comune di Monteforte Irpino.

Il giudice di primo grado, Luigi Buono, con questa motivazione ha assolto altri cinque dirigenti ed ex dirigenti di Autostrade, condannando però altri sei a pene tra i 5 e i 6 anni, rispetto alla richiesta di 10 anni per tutti gli imputati avanzata da Procuratore capo di Avellino, Rosario Cantelmo. La condanna più alta è stata inflitta a Gennaro Lametta, 12 anni, il proprietario del bus guidato dal fratello Ciro che nell’incidente perse la vita. Nelle motivazioni si fa anche riferimento alla barriere protettive che, secondo l’accusa, la società avrebbe dovuto sostituire: “Nessuna norma imponeva la sostituzione delle barriere esistenti sul viadotto e le norme subentrate alla loro installazione non hanno stabilito che tutte le barriere preesistenti dovessero essere sostituite”.