Tempo di lettura: 2 minuti

Arrivava sempre per primo. Puntuale, quasi in anticipo sul tempo, come se l’appuntamento con la sua squadra del cuore non potesse ammettere ritardi. Lo si vedeva spesso davanti al botteghino, con quello sguardo buono e quella luce negli occhi che solo i veri innamorati sanno portare. Perché per Errico Petrozziello l’Avellino non era una semplice squadra: era casa, era vita, era amore. Lo stadio Partenio-Lombardi lo ha visto crescere, gioire, soffrire. Ma soprattutto lo ha visto esserci. Sempre. Anche nei giorni grigi, anche quando la passione sembrava affievolirsi attorno, lui c’era. Con la sua sciarpa biancoverde tra le mani, stretta come si stringe un ricordo, un’idea, un sogno che non si vuole lasciar andare.

Errico ha portato con sé quell’amore fino alla fine. È spirato con la fede nel Lupo ancora viva nel cuore, lasciando dietro di sé un vuoto difficile da colmare. Ma anche un esempio. Quello di una vita semplice, vissuta con coerenza, con dignità, con quell’attaccamento autentico che non ha bisogno di riflettori per brillare. La notizia della sua scomparsa ha toccato profondamente tutta la comunità avellinese. Non solo i suoi amici o i compagni di stadio, ma anche chi, magari solo una volta, ha incrociato il suo sorriso in curva o ne ha ascoltato il racconto appassionato di una partita di trent’anni fa. Perché Errico era così: uno che ti restava addosso. E ai giornalisti diceva spesso, con convinzione e occhi lucidi: “Raccontate l’Avellino, portiamo in alto il nome di questa città. Vogliamo la Serie B.” Perché per lui il calcio non era spettacolo, era orgoglio. Era riscatto. Era appartenenza.

“Un grande amico ci ha lasciato. Il suo ricordo è ormai diffuso ovunque, come il suo amore per il Lupo e per la maglia biancoverde. Ora riposa in pace, caro amico”, ha scritto in un post Franco Iannuzzi, storico leader della Curva Sud, dando voce al sentimento collettivo di un’intera tifoseria.