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Vi sono riti che si ripetono con monotona solennità. Anche la politica irpina, a intervalli regolari, rinnova i propri protagonisti. Questa volta tocca ad Antonio Gengaro, che torna in campo con il Partito Democratico per le elezioni regionali campane. Davanti alla stampa, l’ex vicesindaco ha spiegato le ragioni di una candidatura “tutt’altro che prevista”. “Dopo la disfatta nelle Marche – ha raccontato – aleggiava apprensione anche sul centrosinistra campano. All’inizio rifiutai, poi ha prevalso il senso di responsabilità”.

Un ritorno motivato da ciò che definisce “la necessità di opporsi al peggior trasformismo”, bersaglio chiaro della sua analisi. “Chi ieri si diceva civico, oggi si ritrova nel centrodestra. Io credo che la politica si possa fare con un minimo di coerenza”, ha sottolineato, prendendo le distanze da chi, come Nargi e Festa, ha scelto altri approdi. “Il mio impegno nasce da qui: la coerenza è ancora possibile”.

Sul piano programmatico, Gengaro insiste sui temi chiave del territorio: rilancio dell’Irpinia, valorizzazione dell’agroalimentare, sinergia con università e CNR, lotta allo spopolamento. “Dobbiamo fare rete e trovare un interlocutore certo in Regione”, ha detto, evidenziando la necessità di un nuovo dialogo istituzionale.

Non è mancata la denuncia dei disservizi nei trasporti: “Ogni giorno i pendolari vivono un purgatorio. Da anni attendiamo l’elettrificazione ferroviaria, simbolo di un ritardo che penalizza l’intera provincia”. Tra le priorità anche il Corridoio VIII nella Valle Ufita, che Gengaro considera “un’occasione per trasformare l’Irpinia in polo d’eccellenza”.

Sul fronte interno, ammette le difficoltà di un PD avellinese diviso, ma rivendica di aver chiesto la candidatura di due donne indipendenti come segno di rinnovamento e parità. “Occorre rilanciare la coalizione e tornare a discutere senza prepotenze”, ha concluso, evocando il “modello Manfredi” come esempio di equilibrio e dialogo.

Un ritorno, quello di Gengaro, che sa di richiamo alla memoria e alla responsabilità: perché, in un tempo di opportunismi, la coerenza – anche se non conviene – resta un valore da difendere.