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Lacedonia (Av) – Una due giorni dedicata alla fotografia, all’antropologia visuale, al piacere e alla difficoltà di fare cultura nei piccoli paesi. Questi i temi al centro del weekend dell’1-2 novembre a Lacedonia, in provincia di Avellino, con la manifestazione di chiusura della terza edizione del concorso di fotografia documentaria “1801 passaggi”, ispirato agli scatti realizzati nel 1957 nel paese altoirpino dallo statunitense Frank Cancian e custodito a Lacedonia dal MAVI-Museo Antropologico Visivo Irpino.

Il concorso annuale, chiuso il 22 settembre, era dedicato quest’anno al tema “Un paese italiano, 2019”. Organizzato dall’associazione LaPilart per il MAVI con la collaborazione della Pro Loco Gino Chicone, il sostegno del Comune di Lacedonia e la partnership della FIAF (Federazione Italiana delle Associazioni Fotografiche), il progetto seleziona ogni anno, mediante le scelte operate da una giuria di alto livello culturale e tecnico, un gruppo di 20 opere fotografiche finaliste realizzate in tutta Italia.

Le foto scelte vengono poi esposte presso il MAVI nella mostra conclusiva annuale, che sarà inaugurata quest’anno il 1° novembre a partire dalle 18:30 alla presenza degli organizzatori e della giuria. Nel pomeriggio del 2 novembre, invece, diversi saranno i momenti importanti, a partire dalle 16:30 con l’incontro fra il MAVI e la Fondazione “Un Paese” di Luzzara (Re), volto al confronto tra due paesi e i rispettivi percorsi di valorizzazione e promozione dei patrimoni di immagini che custodiscono. Nel piccolo centro della Bassa reggiana, sulle sponde del Po, lo sceneggiatore e regista Cesare Zavattini chiamò nei primi anni 50 il grande fotografo statunitense Paul Strand (accompagnato da sua moglie Hazel Kingsbury Strand che realizzò anch’essa un reportage fotografico), per compiere insieme una ricerca fotografica e poetica che fu poi alla base di “Un paese” (1955), primo esempio di foto-libro italiano. Quel viaggio in un luogo apparentemente fuori dal tempo, abitato da persone comuni, rappresenta l’inizio di una lunga serie di eccezionali ritratti di Luzzara, che proprio in questo suo essere “un” paese della provincia italiana assurge a ricognizione sociale e antropologica dell’Italia intera. I volti e i luoghi di Luzzara sono stati poi ritratti nei decenni successivi da altri grandi fotografi.

A seguire, sempre il 2 novembre, l’assegnazione dei primi tre premi del concorso “1801 passaggi” a cui si aggiunge, da questa edizione 2019, una menzione speciale dedicata personalmente da Frank Cancian a una fotografia che l’autore statunitense ha scelto fra le 20 finaliste selezionate dalla giuria. Poi la selezione musicale curata da Vinyl Gianpy realizzerà un ponte lungo sessant’anni fra il 1957, l’anno del soggiorno fotografico di Cancian a Lacedonia, e il 2017, data del ritorno dell’autore per l’inaugurazione del MAVI. Infine, degustazioni a cura di produttori locali.

Segreteria del concorso e coordinamento della giuria sono stati affidati quest’anno a Simona Guerra, esperta in ordinamento e valorizzazione di archivi fotografici, autrice di biografie e saggi di fotografia. «Il concorso ha delle caratteristiche molto particolari e richieste precise riguardo alle opere da inviare», ha sottolineato Guerra: «ogni fotografia partecipante, selezionata o no, ha creato un legame diretto con la testimonianza iconografica lasciata da Cancian. Non si trattava solo di inviare belle foto, ma di farlo con consapevolezza». Ma nonostante la struttura del concorso sia piuttosto selettiva, continua a salire il numero dei partecipanti, che quest’anno è raddoppiato rispetto al 2018.

Anche sul piano della qualità si registra una crescita, come ha testimoniato la giuria composta quest’anno, insieme a Simona Guerra, dall’antropologo visuale e docente universitario Francesco Faeta e dal fotografo Francesco Zizola, già vincitore del World Press Photo of the Year: «scegliere non è stato semplice – ha affermato Simona Guerra – perché la qualità delle immagini era alta in numerosi casi. I venti autori in mostra, tra cui i tre premiati, rappresentano per noi gli autori che meglio hanno saputo interpretare il bando». Dalla California, dove risiede, Frank Cancian ha voluto indirizzare un ringraziamento «ai fotografi e ai giudici per la superba collezione» ed ha aggiunto: «è stato difficile selezionare l’immagine a cui assegnare la Menzione, a causa di tutte le meravigliose fotografie che ho dovuto escludere».

1801 sono gli scatti realizzati a Lacedonia nel 1957, in circa 7 mesi, dal fotografo statunitense Frank Cancian, quando, studente di 22 anni, grazie a una borsa di studio soggiornò a Lacedonia «per capire come le persone vivevano e per fotografarne la quotidianità». Il lavoro fotografico del giovane Cancian – reso possibile dalla partecipazione alla vita quotidiana della comunità lacedoniese e caratterizzato da una sensibilità etnografica che, negli anni successivi, sarebbe stata alla base della sua scelta di dedicarsi alla ricerca e all’insegnamento dell’antropologia – esplora tutti gli ambiti di vita di una comunità rurale ritratta nel cruciale momento di passaggio dei tardi anni ‘50 del secolo scorso, allorché l’industrializzazione del paese, l’espansione dei consumi e l’abbandono delle campagne erano ormai avviati.

Alla base del progetto “1801 passaggi” vi è la promozione della testimonianza visuale del passaggio del tempo e delle trasformazioni socio-antropologiche mediante la “traduzione” delle foto scattate da Cancian. È un’iniziativa radicata in una piccola comunità quale quella lacedoniese – che quest’anno ha visto molti dei suoi membri partecipare in prima persona al video promozionale del progetto – ma rivolta alla realtà globale e capace di interloquire con il mondo dell’antropologia visuale e con quello della fotografia.

«La Pro Loco Gino Chicone, come ente conservatore del patrimonio rappresentato dal fondo Cancian, e l’associazione LaPilart, come ente promotore del progetto “1801 passaggi”, stanno facendo per il MAVI un lavoro sinergico che, in qualità di archivista, apprezzo molto», ha dichiarato la coordinatrice del concorso Simona Guerra, che così conclude: «questo è il modo giusto per coniugare la fotografia storica con quella contemporanea: attuando dei passaggi».