Usufruì di permessi retribuiti, giustificando le assenze dal lavoro con impegni istituzionali. Ma l’ex sindaco del comune irpino di Teora, Stefano Farina, è stato condannato a risarcire un danno erariale da circa 77.000 euro complessivi. La sentenza è stata depositata oggi dalla sezione giurisdizionale della Corte dei conti della Campania, e stabilisce un pagamento di 65.726 euro in favore del Comune, e di 11.137 euro in favore del Consorzio dei servizi sociali Alta Irpinia, oltre a rivalutazione monetaria. Il collegio (presidente Paolo Novelli) ha accolto la richiesta del sostituto procuratore generale Flavia Del Grosso, della quale ritiene “pienamente condivisibile la valutazione del pregiudizio”. Secondo la sentenza Farina avrebbe “effettivamente posto in essere un disegno doloso, onde realizzare per sé l’utilità della mancata prestazione lavorativa”. Tale obiettivo l’avrebbe realizzato “gestendo a propria discrezione le attività istituzionali di cui era investito”. Cioè “in modo tale da far risultare, mediante false certificazioni, un impegno per ogni giornata lavorativa” e “per l’intera durata della stessa“. L’ex sindaco avrebbe pure perpetrato “un doloso occultamento del danno”.
Farina è dipendente di Poste Italiane s.p.a (estranea ai fatti). È stato sindaco di Teora dal maggio 2011 all’ottobre 2021, presidente del Cda del Consorzio da settembre 2016 a marzo 2022, ed anche consigliere della provincia di Avellino (incarico gratuito per legge) in due riprese: dal giugno 2009 al febbraio 2013 e dall’ottobre 2014 al novembre 2016. “Dal momento della nomina a Sindaco e per i successivi dieci anni – sostiene la Procura della Corte dei conti -, non aveva prestato un solo giorno di attività lavorativa presso l’ufficio postale, di cui era dipendente, giustificando le assenze con gli impegni istituzionali presso Comune, Provincia e Consorzio”. La storia parte da un esposto dal successore di Farina, Pasquale Chirico. L’attuale primo cittadino affermava di aver riscontrato “alcune criticità”, nell’ambito di una verifica contabile. Si riferiva proprio ai rimborsi erogati dal Comune e dal Consorzio Alta Irpinia, il cui Cda è composto dai sindaci locali. Gli indennizzi al datore di lavoro sono previsti dalla legge, per consentire agli eletti di espletare il mandato, nelle ore in cui dovrebbero prestare servizio. A non convincere Chirico erano però “le modalità di giustificazione delle assenze dal lavoro” di Farina. “Essendosi egli limitato – scrivono i giudici – a dichiarare di dover espletare “funzioni da sindaco nel caso del Comune, funzioni da presidente, nel caso del Consorzio”, senza mai giustificare o produrre documentazione in ordine alla reale sussistenza di tali impegni ed alla loro effettiva durata”.
La sentenza sottolinea come, benché “il procedimento di rimborso intercorra tra il datore di lavoro e l’ente istituzionale”, è “onere del lavoratore produrre la documentazione idonea a comprovare l’esistenza e la durata dell’impegno“. Le indagini, delegate alla Guardia di finanza di Avellino, hanno “puntualmente individuato i giorni – e le ore – di assenza dal lavoro” di Farina. “Gran parte dei quali – afferma la Corte – del tutto privi di giustificazione, eccezion fatta per le autodichiarazioni” dell’allora sindaco. Queste ultime, “nella pressoché totalità dei casi, attestavano lo svolgimento delle funzioni di componente del Consiglio comunale, di Sindaco o di Presidente del Consorzio senza mai indicare né le incombenze, né i tempi, ma solamente il giorno di riferimento“. Nei giorni in cui Farina dice di aver partecipato alle riunioni di Giunta comunale, “non ha svolto la prestazione lavorativa per l’intera giornata di sei ore”. Ovvero, dalle 8 alle 14,10, presso le Poste.
Dalle indagini è invece emerso che “le riunioni non iniziavano mai prima delle 9, sicché l’assenza dalle 8 alle 9 sarebbe in ogni caso ingiustificata”. Non solo: “Esse duravano all’incirca dieci minuti o, comunque, mai più di mezz’ora“. Questo “considerato che il Sindaco fissava un solo argomento all’ordine del giorno e, talvolta, addirittura lo frazionava in più giornate”. I verbali di Giunta “e ciò è del tutto inconsueto- evidenzia il Collegio – non recavano mai l’orario di conclusione della riunione”. Insomma, secondo i giudici Farina avrebbe beneficiato dei permessi retribuiti, ma “nella quasi totalità dei casi le assenze maturate non erano coincise con effettive attività svolte in ragione degli incarichi rivestiti“. Tenuto conto “anche della vicinanza -pochi metri- della sede del Comune al luogo di lavoro, della breve durata delle riunioni, talvolta mai tenute, e della richiesta di rimborsi anche per le giornate di sabato o durante il lock down per Covid -ossia quando gli uffici comunali erano chiusi”. Le stime della Procura, condivise dalla Corte, fissano in un’ora al giorno la durata degli impegni istituzionali, determinando il danno nella paga oraria per le restanti 5 ore. Farina, adesso, potrà ricorrere in appello alla sezione centrale della Corte dei conti.