“Mio padre tradito dalla sua stessa creatura”. Le parole di Fabrizio Pesiri dopo la scomparsa del padre Oscar, 82 anni, ricoverato al Pronto Soccorso del Moscati.
«Dopo qualche giorno di indecisione, ho deciso di scrivere qui, su questo account “tecnico” del Moscati, e non su quello personale, a riprova del fatto che i contenuti del presente post sono volti esclusivamente a far riflettere – spero molto seriamente – gli organi superiori dell’Ospedale Moscati, al fine di evitare che si commettano barbarie in una struttura dove umanità e delicatezza dovrebbero venire prima della tecnica.»
Con queste parole Fabrizio Pesiri dà voce a un dolore profondo e a una denuncia lucida. Suo padre, Oscar Pesiri, affetto da parkinsonismo avanzato e ormai privo della parola e del movimento, era stato ricoverato lunedì 21 luglio al Pronto Soccorso del Moscati. Le sue condizioni iniziali, pur gravi, non apparivano critiche. Eppure, nel giro di poche ore, è sopraggiunta la tragedia.
«Raccontare purtroppo non mi ridarà mio padre – scrive Fabrizio – ma aiuterà altri poveri pazienti e familiari in situazioni simili, prevenendo ciò che purtroppo si sente accadere sempre più spesso.»
Il racconto è dettagliato, scandito da orari, comportamenti, omissioni. Fabrizio sottolinea la professionalità iniziale dei primi medici e infermieri. Poi, il cambio di turno. E l’inizio di un calvario fatto di silenzi, superficialità, indifferenza.
«Erano circa le 15.40. Da quel momento ho chiesto per ben otto volte sia al medico di turno sia alle due infermiere di quella sala di controllare cosa fosse successo nello spostamento di mio padre da un letto all’altro, ricevendo solo rassicurazioni, mentre lui peggiorava. Nessuno si è degnato di controllare a pochi metri da lì.»
Un’ora dopo, alle 16.40, arriva la chiamata dal Moscati: le condizioni del padre sono precipitate. Fabrizio corre, ma trova già in corso manovre disperate di rianimazione.
«Vedevo linee piatte sui monitor. Intorno a lui due-tre infermieri armeggiavano con macchine e farmaci, ma non il medico, che ho dovuto chiamare io. Invece di intervenire, ha chiesto se si fosse liberato un posto in Medicina d’Urgenza, come se volesse solo liberarsi di mio padre.»
Poi l’epilogo, il dolore, l’amarezza. «Mi vergogno per loro. Il dolore è talmente forte che comprime e soffoca la rabbia e la delusione. Questa gentaglia che immagina di qualificarsi medico ed operatore sanitario dovrebbe prima di tutto essere rieducata all’umanità, all’ascolto, alla delicatezza, e solo dopo essere messa a presidio dei luoghi dove regnano sofferenza e dolore.»
E infine, la frase che racchiude tutto il senso di questa amara testimonianza: «Lui, mio padre, che è il padre della Città Ospedaliera, è stato tradito dalla sua stessa creatura.»
L’Irpinia piange la scomparsa del professionista Oscar Pesiri