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Villanova di Battista (Av) – Da pubblico ministero a magistrato di Cassazione. Quasi quarant’anni al servizio della giustizia italiana con una lunga esperienza nella lotta alla criminalità organizzata ed alle mafie ed una paradossale vicenda di malagiustizia che lo ha debilitato fino alla morte prematura. È la storia di Mario Conte (1951-2015), napoletano di nascita, irpino di origini familiari, in magistratura dal 1978, pubblico ministero a Bergamo per lunghi anni, e dal 1992 al 1996 applicato presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo negli anni del grande attacco della mafia allo Stato con le stragi di Capaci e di via D’Amelio in cui persero la vita, tra gli altri, i giudici Falcone e Borsellino. 

A lui sabato 28 Settembre alle ore 17.30 il Comune di Villanova del Battista (Avellino) intitolerà la Sala Consiliare del nuovo palazzo comunale “in memoria di un uomo che ha combattuto una vita intera per la giustizia ed ha sempre portato nel cuore il suo paese d’origine”. Alla cerimonia prenderanno parte l’assessore alla Sicurezza della Regione Campania, Franco Roberti, già Procuratore nazionale antimafia ed oggi membro della Commissione giuridica del Parlamento Europeo, il Sindaco di Villanova del Battista, Raffaele Panzetta, il magistrato Gaetano Carlizzi, docente di Teoria dell’argomentazione giuridica all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e l’oncologo Franco Ionna, direttore del Dipartimento assistenziale e di ricerca dei percorsi oncologici Muscolo-Scheletrici dell’Istituto Nazionale dei Tumori “IRCCS Fondazione Pascale”.
 
La storia di Mario Conte da paladino della giustizia a vittima delle falle del sistema giudiziario italiano
 
Sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo come suo primo incarico nel 1978, poi magistrato addetto ai rapporti con l’Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa, Mario Conte nel 1992 a seguito dell’omicidio di Giovanni Falcone fu chiamato come sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo e nello stesso anno fu designato a partecipare in rappresentanza della magistratura Italiana al programma di studio sul crimine organizzato e sul traffico internazionale di stupefacenti “Combatting organized crime, narcotics and drug trafficking”. Una carriera brillante che nel 1998 lo aveva portato alle soglie della nomina a magistrato di Cassazione poi bloccata per una gravissima vicenda giudiziaria e riconosciutagli postuma nel 2016 con una lettera del CSM alla famiglia. Una lettera che riconosceva la sua piena estraneità ai fatti dopo quasi vent’anni di battaglie processuali conclusesi con la piena assoluzione dopo che Mario Conte aveva anche rinunciato alla prescrizione per vedere dichiarata la sua innocenza anche nella sostanza dei fatti.
 
Le dichiarazioni senza riscontri di un pentito per un’accusa scioccante di ‘narcotraffico’ a chi lo aveva combattuto per anni
 
Associazione a delinquere, traffico di stupefacenti, falso e peculato. Era l’estate del 2003 quando Mario Contericevette un inquietante e inatteso avviso di garanzia. “C’era scritto davvero traffico di stupefacenti? Sono un narcos? Il mio lavoro di pm si era improvvisamente trasformato in attività criminale?”. Così Mario Conte descrive nel suo libro denuncia il suo stato d’animo di quei momenti. “E se fossi tu l’imputato?. Storia di un magistrato in attesa di giustizia” (Guerini e Associati Editore) è stata la sua ultima battaglia prima della sua scomparsa, avvenuta il 2 Ottobre 2015 nell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo dopo una straziante battaglia con un mieloma multiplo diagnosticatogli nel 2006.
 
Come medico, mi chiedo quanto questa brutta storia possa avere influito sull’eziopatogenesi della sua malattiaUna malattia che ha affrontato con una dignità incredibile, senza mai autocommiserarsi, ma dialogando con la morte quotidianamente, augurandosi solo di poter avere il tempo di riscattare il suo nome”. Così l’amico Giorgio Gabriele Bani, neurochirurgo all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, sottolineava la probabile correlazione tra la malattia oncologica e la sofferenza per l’incredibile vicenda processuale.
 
Il 15 Luglio del 1997 è la data d’inizio del calvario giudiziario di Mario ConteIl pm bresciano Fabio Salamone (i cui conflitti di interesse emergeranno proprio nel libro di Mario Conte in maniera dettagliatamente documentata) raccoglie la deposizione di Biagio Rotondo, criminale di lungo corso, che dopo l’ultimo arresto della Questura di Brescia, di fronte ad accuse gravissime (tra cui tentato omicidio e rapina aggravata) si dichiara pronto a collaborare per riferire di una serie di presunte operazioni illecitamente gestite dai militare del ROS di Bergamo e di Roma e coordinate da Mario Conte che avrebbero costituito una “struttura deviata” per strumentalizzare le norme sulla consegna controllata di stupefacenti al fine di conseguire brillanti operazioni di polizia.
 
Un calvario giudiziario lungo 20 anni e il libro-testamento “E se fossi tu l’imputato?”
 
Dal luglio 1997 all’estate del 2003 passano sei anni solo per gli avvisi di garanzia. Altri due anni per il rinvio a giudizio. Altri nove anni anni per due gradi di giudizio con l’assoluzione con formula piena per Mario Conte che arriva dalla Corte di Appello di Milano soltanto il 2 Luglio 2014 e soltanto perché Conte aveva scelto di rinunciare ad avvalersi della prescrizione. Una assoluzione che arriva però quando Mario Conte aveva capito di essere prossimo alla sconfitta nella sua battaglia parallela: quella contro il mieloma.
 
Ed è per questo che Mario Conte decide di scrivere un libro-testamento. E lo fa senza acredine ma con un’accurata ricostruzione delle carte processuali “avendo speso gli ultimi 12 anni della mia vita esclusivamente nel ruolo di avvocato difensore di me stesso”, ricorda Conte nel libro, sottolineando “come sia stato quasi fortunato ad aver avuto le competenze e i mezzi per potersi difendere a differenza di tanti cittadini comuni che possono essere travolti dagli errori del sistema giudiziario”. E allora il libro, come scrive Conte, nasce proprio per questo “per sollecitare nelle istituzioni e nella magistratura una riflessione sulle contraddizioni dell’ordinamento giudiziario italiano, su i suoi vuoti e sulle sue possibili degenerazioni, affinché il ruolo del pubblico ministero resti sempre e solo quello di chi deve accertare i fatti e acquisire le prove a carico ma anche a discarico dell’imputato e non quello di un giustiziere che deve ristabilire un ordine sociale violato”.
 
Le proposte di Conte per una riforma della giustizia
 
Un libro quello di Mario Conte che, ripercorrendo la sua vicenda giudiziaria con dovizia di documenti e di particolari, diventa anche un manifesto programmatico per una possibile riforma della giustizia o meglio per una serie di piccoli accorgimenti mirati perché, come scrive Conte, “in Italia il vero problema in materia di giustizia non è quello di fare riforme epocali ma di recuperare la distinzioni dei ruoli e la cultura della prova, oggi spesso soppiantata da una visione della giustizia non già come servizio nei confronti del cittadino, ma come esercizio di un potere che funge da ammortizzatore sociale, scadendo così in un’attività di supplenza di altri poteri dello stato incapaci di esprimere il proprio ruolo”.
 
Secondo Mario Conte serve un sistema in cui il processo penale “debba solo accertare in tempi ragionevoli se l’imputato è colpevole o innocente oltre ogni ragionevole dubbio, senza nessuna forzatura, senza preconcetti o tesi precostituite da difendere” così come servirebbe prevedere “un rapporto più equilibrato tra imputato e inquirenti restituendo dignità al primo (intesa come rispetto della persone e dei diritti e non dimenticando la presunzione di innocenza) e professionalità ai secondi: elementi essenziali per l’efficienza e l’affidabilità di un sistema giudiziario di uno stato democratico”.
 
Idee semplici e chiare che avranno bisogno di un’immediata applicazione per evitare che in futuro si possano ripetere vicende giudiziarie così paradossali. Del resto il valore assoluto della ricerca della verità e il miglioramento di quel sistema giudiziario per cui ha speso una vita intera sono stati proprio l’obiettivo per cui Mario Conte si è battuto fino all’ultimo respiro.