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Dopo il primo attacco frontale di Antonia De Mita, figlia dell’ex premier e storico leader democristiano Ciriaco De Mita, arriva un nuovo post al vetriolo contro Clemente Mastella.

Un messaggio apparso su Facebook, ma con il tono e il peso di un editoriale politico: “Vorrei chiarire la distorsione con cui lo stalliere di casa, Clemente Mastella…”. Una frase che da sola basta a incendiare il dibattito.

Antonia De Mita, con un linguaggio tagliente e colto, torna a colpire il sindaco di Benevento, mettendone in discussione non solo l’operato politico, ma anche lo spessore culturale e umano.

“Nonostante faccia teatro in politica dagli anni ’70 – scrive – non sa l’importanza assoluta di un settore come l’agricoltura”, alludendo all’ignoranza, a suo dire, del “vecchio volpone” della politica meridionale su temi centrali per il Paese.

Ma la stilettata non si ferma lì: De Mita parla di “volpe di strada”, di un uomo che avrebbe fatto della politica un “brand da outlet”.

Una definizione velenosa che sintetizza la distanza abissale che Antonia traccia fra l’eredità “culturale e spirituale” del padre Ciriaco e quella che attribuisce a Mastella.

“Mio padre aveva altri obiettivi e una capacità culturale che non ha modo di essere confrontata con la nostra”, afferma con tono di sfida, rimarcando il divario tra due mondi: la politica del pensiero e quella del potere.

Dietro le parole della De Mita, tuttavia, si intravede anche un risentimento personale. L’accenno al funerale del padre – “ha chiesto a mio fratello di dire due parole su mio padre” – rivela un nodo familiare e simbolico: Mastella, l’uomo che tenta di accreditarsi come erede di un certo mondo democristiano, ma che per Antonia non ne ha né il lignaggio né la statura.

Questo è il secondo attacco in pochi giorni. Un segnale che non si tratta di uno sfogo isolato, ma di un vero e proprio duello politico e generazionale. Da una parte l’ultimo grande “animale politico” del Sud, sopravvissuto a decenni di trasformismi e alleanze. Dall’altra, l’erede di una dinastia che rivendica la “purezza” e la profondità di una politica ormai scomparsa.

Una battaglia fatta di parole affilate come lame, dove il passato democristiano non è ancora del tutto morto — ma si contende, ancora una volta, l’eredità morale del potere nel Mezzogiorno.