Maurizio Landini, segretario nazionale della Cgil, nel Sannio per parlare dei referendum del prossimo 8 e 9 giugno ma anche per toccare la spinosa vertenza lavorativa in particolare il settore metalmeccanico e automotive in gravi criticità nel Sannio.
All’Auditorium Sant’Agostino il sindacato della Cgil prosegue la battaglia referendaria. Cinque quesiti per abrogare norme che, secondo il sindacato, hanno alimentato la precarietà e indebolito i diritti dei lavoratori. Si parla della reintroduzione del reintegro in caso di licenziamento illegittimo, il contrasto all’abuso dei contratti a termine, la responsabilità solidale negli appalti e il limite ai subappalti a catena.
Ad aprire l’incontro il Rettore Gerardo Canfora: “L’Università è il luogo dove poter coltivare un pensiero critico”. Canfora ha poi esortato: “Andiamo a votare, è un momento importante per la democrazia”. In effetti l’astensionismo potrebbe essere un vero enigma per questi questi referendari.
Landini ha voluto rilanciare proprio questo rischio: “Noi vogliamo raggiungere il quorum, convincere una persona ad andare votare è una delle cose più difficili in assoluto. Si va a votare per migliorare la propria condizione, votare significherebbe migliorare la condiziona lavorativa dei cittadini”.
Landini ha rilanciato l’appello del Presidente della Repubblica alla votazione: “Sarebbe irresponsabile affermare di preferire una giornata al mare. Sarebbe grave oltretutto dopo l’appello del Presidente della Repubblica”.
Il segretario provinciale della Cgil Luciano Valle ha sottolineato: “Vogliamo ridare speranze ad un territorio delle aree interne. Il vero problema è la precarietà. è quella che
uccide le giovani generazioni come un cancro che morde la dignità del lavoro. Non possiamo restare fermi, bisogna preservarle.
Modificare norme che stanno uccidendo le persone. Landini nel prendere la parola ha sottolineato come sia il diritto del lavoro, il tema della cittadinanza sono ad oggi diritti negati: “I giovani precari sono costretti a lasciare il nostro Paese. Si continua peraltro a morire sul lavoro, è necessario cambiare quella cultura e quelle leggi che negli ultimi 25 anni non hanno sortito gli effetti sperati”.
Il tema della sicurezza del lavoro e i provvedimenti annunciati dal Governo non convincono Landini: “Le morti purtroppo sono aumentate negli ultimi due anni e mezzo. Gli infortuni sul lavoro non calano e quei provvedimenti presi non servono assolutamente per affrontare questa problematica “.
Per il segretario è il modello di fare impresa che uccide: “Non è una responsabilità del lavoratore. Noi con il referendum stiamo chiedendo di cancellare la logica del subappalto a cascata. Chiediamo una cosa molto precisa, che l’azienda madre, chi decide di appaltare dei lavori, deve essere responsabile della salute della sicurezza lungo tutta la filiera degli appalti, cosa che oggi non avviene.
Così come stiamo chiedendo che c’è bisogno di fare una vera patente a punti, non quella finta che hanno fatto e che non viene mai usata. Così come c’è la necessità di fare delle assunzioni vere di ispettori, di medici. Se vuoi davvero evitare la morte sul lavoro la devi prevenire”.
Poi ha aggiunto: “Oggi addirittura per essere un’impresa, basta iscriversi alla Camera di commercio e avere un codice fiscale. Questa è una follia, perché vuol dire incentivare una competizione giocata solo sulla riduzione dei costi. Io credo che la verità vera sia che se tu assumi la salute e la sicurezza, devi fare degli investimenti e fare salute e sicurezza vuol dire anche ridurre i profitti delle imprese, quindi la cosa vera è che si è scelto di tutelare il profitto delle imprese anche sulla pelle dei lavoratori. Questo è il cambiamento culturale da fare”.
Poi Landini ha concluso: “Stiamo chiedendo da tempo insieme alla categoria dei metalmeccanici che ci sia una convocazione a Palazzo Chigi a partire dal gruppo Stellantis e da tutta la componentistica. Questa cosa non è mai avvenuta. Investimenti non se ne stanno facendo, si stanno continuando a delocalizzare produzioni. E, di fronte ad un’assenza di politiche industriali, il rischio molto concreto che abbiamo è una completa deindustrializzazione”.