- Pubblicità -
Tempo di lettura: 3 minuti

Il 26 febbraio 1266, esattamente 764 anni fa, a Benevento venne deciso il destino d’Italia.

Parliamo, ovviamente, della grande “battaglia di Benevento”. Parliamo dell’epico scontro tra guelfi e ghibellini e dell’affascinante figura di Manfredi.

A fronteggiarsi nella battaglia di Benevento furono le forze guelfe, appoggiate e sostenute da Carlo I d’Angiò, e le forze ghibelline, sotto l’egida della dinastia sveva di Manfredi, figlio di Federico II e ultimo re di Sicilia.

La battaglia iniziò al mattino, quando Manfredi fece avanzare la sua prima linea (arcieri e cavalleria leggera) sul ponte. Queste forze attaccarono la fanteria francese, ma furono presto messe in fuga dal primo battaglione angioino. Avventatamente (non è noto se di propria iniziativa, o per ordine di Manfredi, o in seguito, come sembra probabile, all’errata interpretazione di un ordine ricevuto), il primo battaglione tedesco attraversò il ponte e contro-caricò i francesi. In un primo momento, i mercenari tedeschi sembravano inarrestabili: tutti i colpi rimbalzavano sulle loro corazze, e Carlo fu costretto ad impiegare anche il suo secondo battaglione. I tedeschi continuavano ad avanzare, ma i franco-angioini scoprirono che la nuova armatura a strati di piastre non proteggeva le ascelle quando il braccio veniva alzato per colpire ed iniziarono così a colpire a loro volta gli avversari sotto le ascelle. Inoltre i comandanti francesi diedero ordine agli arcieri ed ai fanti, con una spregiudicatezza che all’epoca era ritenuta veramente scorretta, di colpire i destrieri dei cavalieri nemici, causando gravi perdite e notevole confusione nella cavalleria sveva. Le sorti della battaglia da quel momento volsero velocemente contro Manfredi. Tutte le sue forze avevano attraversato l’unico ponte sul Calore per raggiungere il campo: a quel punto, infatti, anche il secondo battaglione tedesco aveva passato il fiume; Carlo aveva allora ordinato al suo terzo battaglione di circondare gli avversari su entrambi i lati, cosicché questi furono rapidamente messi in fuga. Davanti alla disfatta, quasi tutti i nobili del regno di Sicilia, presenti nel terzo battaglione di Manfredi, abbandonarono il campo, lasciando solo il re con pochi fedelissimi compagni d’arme. Dopo aver scambiato la sopravveste reale con il suo amico Tebaldo Annibaldi, Manfredi e i suoi seguaci si gettarono nella mischia, in cerca di una morte eroica, e furono uccisi.

La sconfitta di Manfredi diede inizio alla dominazione francese a Napoli e nell’intero Meridione. I “sogni” coltivati da Federico II, di uno “Stato” che potesse svincolarsi dall’influenza politica del Papa e che potesse “riconoscersi” attorno ad un unico centro di potere, si dissolsero definitivamente. 

La distruzione dell’esercito di Manfredi segnò anche il crollo definitivo della dominazione degli Hohenstaufeni n Italia e la sconfitta del partito ghibellini. Da quel giorno, in tutto il Paese, si aprì una vera e propria “caccia” ai ghibellini con conseguenze epocali sulla bilancia politica di tutta la penisola. Da quel giorno in poi gli equilibri politici nel nostro Paese mutarono definitivamente e la battaglia di Benevento segnerà uno spartiacque decisivo. 

La battaglia di Benevento e la morte “eroica” di Manfredi, morto scomunicato dalla Santa Sede, riecheggeranno anche nei celebri versi del Sommo Poeta:

Vero è che quale in contumacia more
di Santa Chiesa, ancor ch’al fin si penta,
star li convien da questa ripa in fore.

Purgatorio, III, 136-138

Il grande progetto politico dello Stupor Mondi era definitivamente naufragato. L’Unità politica del Paese avrebbe dovuto attendere altri 600 anni.