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La vita è tutta una prima volta. Per il Benevento, ieri, è stato l’esordio casalingo nella sua seconda stagione tra i grandi. Per chi vi scrive, e per pochi altri aficionados della Strega, è stato il debutto da tifoso “al tempo del Covid”.

La prima ‘mazzata’, ancora prima di Lukaku (“ma quanto è grosso dal vivo? Assai”), arriva quando ancora devi prendere l’auto e partire: la sciarpa giallorossa resta lì, nella tua stanza, appesa al gancio.

Lei non può entrare. Come andare a zappare senza la zappa, per capirci. Ma questo è.

Per darsi un tono (di colori), allora, si indossa la mascherina buona, quella di cotone comprata a giugno per la festA (non fatelo mai, se c’è il sole e il tuo posto è nei distinti e ci tieni a respirare).

E comunque, andiamo. Che sul biglietto c’è l’orario di ingresso e bisogna essere puntuali come a un colloquio di lavoro. E infatti si arriva in anticipo.

Traffico per la via che porta allo stadio non ce n’è, fila per entrare neanche.

Scene pure vissute in un passato neanche troppo lontano, quando si era in pochi per scelta, sì, ma dei tanti che restavano a casa, mica del Cts.

A spezzare l’effetto déjà vu è la ragazza con il termometro che ti misura la temperatura: 36,2 e prendi consapevolezza che l’auto appena parcheggiata non è una DeLorean ma la tua Punto. Come se non bastasse, a conferma che i tempi sono cambiati, entri e la prima cosa che noti è la cresta di Arturo Vidal: no, non è il Giulianova l’avversario.

Vabbè, un borghetti e prendiamo posto. CHIUSO. Altro scherzo del Covid: e che pal..

Ma ci sta, dopo sette mesi di astinenza tolleri tutto. Pure lo steward che ti fa alzare dal posto da abusivo nell’anello inferiore: “Ma è solo finchè inizia la partita, stu sole me stona!” – lo preghi, “No” – ti risponde.

Meno sopportabile, semmai, per i duri e puri (come me), è l’esultanza – stile Tardelli ma, per fortuna, senza urlo – del carabiniere al gol di Gagliardini (“grrr”).

E l’ambiente? Niente amici, niente colori, niente Sud. E’ un’emozione a metà, diciamocela tutta. Ma è l’unica che ci possiamo permettere oggi e quindi ce la teniamo stretta.

Dal campo si sente ogni parola (Conte, come si suol dire, non sputa mai n’terr) e questo lo immaginavamo.

Ma è anche vero che dal campo sentono tutto. E così Letizia, appena entrato in campo, si gira e risponde sorridendo al tifoso che gli ricorda che quello di fronte – Hakimi – “guadagna quatt volte più di te”- “Magari quattro volte”, avrà pensato il buon Gaetano. E infatti quello approfitta della fase sogno del nostro eroe di Marassi e ci infila il quarto gol prima ancora di andarci a prendere il tè caldo. Ma tanto il bar è chiuso.

Nel secondo tempo Inzaghi cambia, la squadra cambia e pure l’atteggiamento sui gradoni cambia.

I nerazzurri tirano un po’ il fiato e finalmente fanno meno paura. Eppure segnano ancora: “l’importante è che non ne prendiamo sei” – confida al settore un tifoso a cui il tennis proprio non deve piacere.  Gli va bene perché Perisic e la traversa lo accontentano. Lapadula, invece, non dà soddisfazione e ci nega la gioia di avvicinarci ancora un po’ agli strisciati: il suo cucchiaio gli vale i primi “rimproveri” (“ma tu e capit?, 5 a 3 era tutta un’altra cosa”).

Poi, prima del triplice fischio, ecco il coro che tutti aspettavano ma che nessuno osava lanciare.

“Che vinca o che perda… “. Ma sì, cantiamo. “Che tenimm ancora a panza chiena da Genova”.

Ci vediamo alla prossima. Domenica? Ah boh, dipende dalla connessione.