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Sala conferenze della Cittadella della Caritas gremita per l’iniziativa ‘Facciamo un pacco alla camorra’. Il teatro di un appuntamento atteso per cercare di capire come i segnali di vicinanza possono cambiare i fatti. Il tema scelto per la serata è la pace, il cui contrario non è guerra ma violenza. Un cambio di prospettiva non del tutto banale, una conferma del fatto che quello attuale è un mondo violento, sia dal punto di vista verbale che fisico.

“Non è mai scontato che ci siano tante persone a eventi del genere –  inizia così Michele Martino, referente provinciale di Libera Benevento. La bellezza del noi, della costruzione delle relazioni, le basi per costruire pace, tessere relazioni e responsabilità di unire diverse culture. A noi sta a cuore il bene del territorio. Il pacco alla camorra è un’esperienza rivoluzionaria, pacifica e non violenta. Una lotta che parte dal basso, un pacco che è arrivato alla 14esima edizione e nasce una mattina alle 7.30 quando un killer uccise Don Peppe Diana. Nella nostra regione, spesso uccidere è anche un lavoro. Per i camorristi quella doveva essere la fine e invece è stato un inizio di rivoluzione”. Pace che va di pari passo con la giustizia sociale. “Bisogna adeguarsi al passo del più debole che viene protetto dal più forte e non abbattuto. Una lotta seria alle mafie e alla corruzione, temi che sono diventati blandi nelle agende politiche del paese. La pace si costruisce con un’azione forte contro i narcotrafficanti. Un fenomeno che tocca anche la nostra Valle Caudine dove non si spara e significa che ci sono degli equilibri. Non possiamo mai trovare pace se diciamo che le auto si incendiano da sole, le macchine non prendono fuoco da sole”.

L’associazione Libera non ha un domicilio – così fa il suo esordio Pasquale Zagarese, direttore diocesano della Caritasma ha una sua casa nella strada. Questa è la casa di tutti. Ci sono obiettivi e impegni comuni. Siamo abituati a considerare la Caritas come impegno caritatevole, il tappare delle falle immediate e questo è vero e necessario ma non può essere solo questo. Sappiamo che dobbiamo essere anche altro e crediamo di poterlo fare con una nuova base progettuale, un’idea sulla quale stiamo lavorando ed è la rigenerazione di un quartiere: un lavoro comune per creare un laboratorio di idee nel quale il cittadino deve essere attore. Vogliamo dare voce a tutti ed è questa la cittadinanza attiva. Il nostro stile deve essere silenzioso, senza slogan, ma di azioni vere e creare rete. Parlare di pace, in un convegno, sembra farci rimanere nel generale senza essere concreti ma ci sono alcuni presupposti dottrinali che non possono essere omessi. Ed è da quelli che bisogna ripartire per mettere in moto in maniera reale la pace e la giustizia”.