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‘Contemporaneamente’ è un’apertura collettiva di oltre 30 spazi per l’arte contemporanea campana che nei giorni 17-18-19 dicembre aprono le loro porte con l’intenzione di dare un segnale forte di coesione e per celebrare la vivacità della cultura contemporanea sul territorio campano anche in questo momento delicato.

La prima edizione di ‘Contemporaneamente’  rappresenta il tentativo di consolidare l’offerta culturale con l’appoggio delle principali istituzioni cittadine che, nonostante la chiusura temporanea imposta a musei e fondazioni, si affiancano all’iniziativa: Museo Madre, Fondazione Made in Cloister, Fondazione Morra, Fondazione Morra Greco, Fondazione Plart.

Sannio protagonista con la presenza della galleria Casa Turese di Vitulano e la personale ‘Drop’ di Antonio Delli Carri della galleria Nuvole Arte di Montesarchio.

Casa Turese Arte Contemporanea presenta giovedì 17 Dicembre 2020 “Pensare il futuro”, mostra collettiva con opere di Michele Attianese, Nicola Caredda, Maurizio Cariati, Maurizio Carriero, Mary Cinque, Annalisa Fulvi, Emanuele Giuffrida, Luigi Lume, Angelo Maisto, Carlo Alberto Rastelli, Michael Rotondi, Marta Sesana.

Negli spazi della galleria saranno allestite le 12 opere su carta (realizzate negli ultimi mesi) in ordine di pubblicazione sull’edizione del calendario d’artista 2021 che fa seguito alle precedenti del 2019 e 2020. Il calendario sarà accompagnato da un testo di Arianna Baldoni che ripercorre il saggio “Scrivere il futuro” (2016) di Zygmunt Bauman; il saggio traccia la complessità del nostro tempo caratterizzata dalla costante incertezza, che sembra non dare adito alla possibilità di programmare la realtà in cui viviamo.

L’iniziativa della galleria di realizzare un calendario corredato dall’opera di dodici artisti rientra in questa modalità di poter scrivere il futuro, elaborando un progetto per l’avvenire, enucleato nella dimensione raccolta della galleria d’arte con una diffusione specifica, destinata a un pubblico ristretto. È un tentativo esemplare in un momento storico – forse il più drammatico dal Secondo dopoguerra -, nel quale la collettività si trova ad affrontare la pandemia che ha colpito il sistema globale, creando uno stato di profonda instabilità e sfiducia nel guardare in prospettiva.

La volontà di produrre un calendario rappresenta la sintesi un processo rigenerativo dove l’opera degli artisti è protagonista del tempo e nel tempo. Dodici lavori su carta nei quali spiccano poetiche e linguaggi differenti, espressi con tecniche varie, dall’uso di cromatismi brillanti e saturi si passa a velature liquide e tenui, che raffigurano ritratti suggestivi e soggetti immaginari, still life e vanitas contemporanee, paesaggi indistinti e desolati, dimensioni sognate, enigmatiche, surreali e alienate, intervallate al realismo del nostro tempo, con richiami alla storia, alla memoria, ai fenomeni sociali e ambientali. Un insieme polifonico che raccoglie le opere degli autori coinvolti che hanno creato la direzione dell’incedere per essere nel mondo, affrancandosi dal fatalismo che morde l’epoca odierna e travolge l’avvenire sulla scia del passato. Hanno sfidato il presente, pensando il futuro.

DROP
Personale di Antonio Delli Carri
Galleria Nuvole Arte
Montesarchio (BN)

Il suono di un goccia. Profondo, remoto, ripetuto, ma senza una speciale cadenza. A chiudere gli occhi, potresti immaginare di trovarti in una grotta, in una di quelle grandi cavità sotterranee dove il tempo lascia che le dita di concrezioni caliginose si incontrino a disegnare degli archi. L’umidità dell’ambiente lucida le superfici che brillano di una luce oscura.
C’è qualcosa di antico, qualcosa che richiama ere geologiche passate, nelle opere recenti di Antonio Delli Carri. Sono anch’esse curiose concrezioni: più che alla scultura fanno pensare a stratificazioni naturali, a metà tra un fossile e una lenta stratificazione scistosa.
Più che alla scultura, fanno pensare a una natura che assorbe tempo, storia e cultura, che tutto plasma in sedimento cristallino.
E capita anche che le asperità minerali, che nell’insieme formano la superficie porosa delle sue opere, emettano dei suoni, se scosse con la punta delle dita. Basta un tocco delicato e ciascuna delle scaglie cretose risuona di un rumore denso come, appunto, quello di una goccia in un ambiente cupo.
Strana parentela quella tra la scultura e il suono. Ciò che colpisce in una statua, infatti, è il suo starsene in disparte, muta, lontana dalla chiassosa vitalità degli uomini. Le statue non parlano, anche quando disperatamente chiedi loro di farlo, come la leggenda vuole abbia fatto Michelangelo completando il suo Mosè.
Di statue parlanti raccontano le cronache dell’antichità. Dall’effige di qualche dio egizio, in certe condizioni, si levavano come delle voci. Parole difficili da distinguere e perciò adatte al vaticinio, oppure più semplicemente l’eco di un richiamo, il suono di una tromba, la sveglia al mattino dei giorni di festa. Ma si trattava di statue che nascondevano nelle loro viscere organi idraulici, flussi d’acqua, ancora una volta, che nel movimento inducevano spostamenti d’aria che le orecchie degli spettatori scambiavano per una voce soprannaturale. Nient’altro che un artificio da mago, ma che cosa era l’artista se non un mago, un sapiente capace di mutare l’essenza delle cose e dare una sonorità liquida alla rigidità della pietra?

Antonio delli Carri appartiene alla categoria degli scultori e dunque a quella classe di artisti che più di altre conserva le conoscenze, e a volte ancora l’aspirazione, per indurre nella materia le trasformazioni che incantano lo spettatore. È l’incanto, non già l’utile, che giustifica il lavoro dello scultore e lo differenzia da quello del fabbro o dell’ingegnere. Non c’è nessuna utilità nel far scaturire dalla materia legnosa delle opere il suono di una goccia, ma forse per questo ancor di più ne godiamo la magia.