In un’Italia che troppo spesso invoca il disimpegno dei giovani, fa riflettere la vicenda che in queste ore sta travolgendo Alina Caruso, una giovanissima ragazza di Benevento, colpevole unicamente di aver scelto di aderire a un partito politico per provare a fare qualcosa di concreto per la propria città. Una scelta legittima, personale, e in fin dei conti anche coraggiosa, che però si è trasformata in un boomerang mediatico.
Nel giro di poche ore, quella che avrebbe dovuto essere una notizia locale di partecipazione giovanile e di impegno civile si è tramutata in un bersaglio per insulti, derisioni, insinuazioni. L’adesione, sui social, ha scatenato una valanga di commenti, molti dei quali intrisi di sarcasmo, violenza verbale, livore politico e persino giudizi estetici.
Tra i commenti più assurdi, c’è chi si è concentrato sul taglio di capelli della ragazza, rasato, accostandolo a Casapound e al neofascismo. Un’associazione tanto gratuita quanto infondata, che mostra quanto spesso sui social si scelga la scorciatoia del pregiudizio invece del confronto costruttivo. Altri, con tono paternalistico o apertamente aggressivo, l’hanno invitata a “starsene a casa”, come se la politica fosse un club per pochi eletti e non il diritto e dovere di ogni cittadino.
Eppure, la vicenda parla chiaro: una giovane che sceglie di non limitarsi al ruolo passivo di spettatrice, ma di provare a dare il proprio contributo, indipendentemente dal colore politico, dovrebbe essere accolta come un segnale di speranza. Invece, si trova catapultata in una gogna social fatta di “leoni da tastiera”, pronti a distruggere e deridere senza conoscere né la persona né la sua storia.
Fortunatamente, tra il marasma di odio e sarcasmo, emergono anche voci fuori dal coro. Alcuni utenti hanno avuto il coraggio di prendere posizione, difendendo la ragazza e sottolineando l’ipocrisia di chi si erge a giudice solo perché protetto dallo schermo. Chi ha ricordato che l’impegno va sostenuto, chi ha fatto appello alla riflessione, chi ha condannato apertamente gli insulti.
È questo, forse, il segnale più importante: che nella tempesta di rabbia e cinismo che talvolta domina la rete, ci sono ancora isole di lucidità e rispetto. E che non bisogna mai smettere di difendere chi prova, anche solo a vent’anni, a cambiare le cose.
Perché il futuro di una città, di un Paese, non si costruisce con l’insulto facile o con la derisione, ma con l’impegno. E ogni giovane che sceglie di provarci andrebbe sostenuto. Non lapidato.
Indipendentemente dal partito politico a cui sceglie di aderire. Che sia destra, sinistra o centro.