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Benevento – Sono passati vent’anni. Gianluca Di Giulio ne aveva ventisei quando indossò per la prima volta la maglia del Benevento. Da lì in poi lo avrebbe fatto in altre novantasei occasioni, sfiorando quota cento. Ma i numeri finiscono per essere un’inezia di fronte ai ricordi, al vissuto e a ciò che è in grado di evocare un nome ancora oggi, a distanza di così tanto tempo. “I tifosi e il club da allora di strada ne hanno percorsa, hanno conosciuto giocatori diversi, hanno vissuto il sogno della serie A e meriterebbero di tornarci”.

Un modo come un altro per dire che quel calcio lì non c’è più, sostituito gradualmente da un gioco dalle stesse regole ma dalla magia differente. E’ questo, in fondo, che porta a ricordare la vittoria sul Messina del ’99 alla stregua di una promozione in massima serie. Ed è sempre questo che consente ai giocatori transitati per il Sannio di fare più o meno la stessa cosa rievocando i tempi che furono con parole simili tra loro: “Benevento è una piazza diversa dalle altre, ha qualcosa di speciale che parte dall’affetto che la gente trasmette durante un giro in strada e si trasferisce la domenica sulle gradinate dello stadio”, dice l’ex centrocampista, che di questa terra parla con estrema attualità nonostante non la visiti dal lontano 12 dicembre 2004, quando perfino lo stadio aveva un altro nome. 

“L’ultima mia volta a Benevento coincide con una partita. Non vestivo la maglia giallorossa, quel giorno, ma la divisa del Rimini. Tornai da avversario e dai tifosi ricevetti un affetto incredibile, tanto che ricordo che giocai quella partita con il cuore pieno di emozione. I tifosi della curva sud prima del match mi invitarono sotto il settore, mi dedicarono un coro e mi omaggiarono con grande calore. Indimenticabile”. Quel Rimini vinse il campionato di C1, il Benevento non raggiunse i play off e fallì cambiando denominazione l’anno successivo, quando ripartì dalla serie C2.

Nei quattro anni a Benevento, Di Giulio (l’ultimo in piedi nella foto in alto) è riuscito a togliersi tante soddisfazioni: “La vittoria con il Messina resta il momento più bello. Giocavamo contro una squadra che aveva individualità importanti e che era costata il quadruplo rispetto a noi in sede di mercato. Tutti elementi che ci portarono ad avere ulteriori stimoli, a giocare da squadra e a vincere con merito una finale epica. Gli anni successivi conquistammo due salvezze tranquille e una al play out contro la Nocerina. Poi andai via, ero affezionato a Pedicini e Rillo, sapevo che stavano per passare la mano e mi trasferii a Rimini dove mi tolsi altre soddisfazioni con due promozioni dalla C2 alla C1 e dalla C1 alla B”.

Attualmente ha una rivendita di auto a Brindisi, sua città natale. E tra l’altro di Benevento-Verona, match alle porte, sarebbe anche un doppio ex: “Sì, è così, anche se a Verona non fui molto fortunato. Diciamo che seguo poco l’Hellas, sicuramente meno di  Benevento e Rimini, le mie due squadre del cuore. Verona fu l’ultima tappa della mia carriera professionistica. Collezionai 3 presenze in B nel 2006/2007 e sette presenze in C1 nel 2007/2008 dopo una parentesi in prestito al Gallipoli. Un brutto infortunio al ginocchio mi fermò, avevo trentasei anni. A quel punto decisi di tornare a casa mia”. 

Il rapporto con la B attuale è di conoscenza non approfondita: “Conosco il giusto del campionato, lo seguo ma non assiduamente. Quello che posso dire è che il Benevento può tornare in serie A in virtù di una rosa piena di elementi di spessore. Quella di Viola è una conferma importantissima, così come la concretezza di Coda non è da sottovalutare. Ha già fatto sette gol in campionato, se mantiene questa media può trascinare la squadra verso l’obiettivo fissato in estate. Io lo spero, così come spero di tornare a Benevento presto per riabbracciare tanti amici. Qualche anno fa fui invitato per una partita tra vecchie glorie, purtroppo dovetti dire di no per cause di forza maggiore”.

Tra i ricordi e gli aneddoti da conservare con gelosia ce n’è uno in particolare, un appuntamento fisso che proprio non si poteva evitare: “Il giovedì sera, anche per questioni scaramantiche, uscivamo tutti insieme e andavamo a mangiare lo ‘scarpariello’ in un locale cittadino. Con noi c’era anche il fotografo Arturo Russo, una persona simpaticissima, unica nel suo genere. Lo abbraccio forte idealmente perché a lui sono legati ricordi meravigliosi della mia esperienza a Benevento. Guai a saltare quell’appuntamento, altrimenti le cose la domenica successiva sarebbero andate male. E sarà che eravamo tutti un po’ scaramantici, ma funzionava davvero…”.