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Benevento – A venticinque anni dall’uccisione di Don Peppe Diana, il Liceo Guacci di Benevento ha organizzato, questa mattina, un incontro con Raffaele Sardo, giornalista e scrittore, autore di: “Don Peppe Diana. Un martire in terra di camorra” e “La sedia vuota. Storie di vittime innocenti della criminalità” una raccolta con le storie di 15 vittime innocenti della camorra, del terrorismo e del dovere tra cui i beneventani Raffaele Delcogliano e Aldo Iermano, uccisi a Napoli il 27 aprile del 1982 da un commando delle BR in “affari” con la camorra e i servizi deviati dello Stato

Due libri che i ragazzi del Liceo Guacci hanno letto, studiato e fatto propri in modo tale da conoscere e tenere viva la storia e la memoria delle vittime, spesso dimenticate. Il tutto si prefigura come tappa di avvicinamento al 19 marzo, 25°anniversario della morte di Don Diana, e al 21 marzo, giorno della memoria delle vittime delle mafie e del terrorismo.

“Ricordare Don Peppe è importante perché è stato un simbolo della lotta alla criminalità e in particolare al clan dei casalesi, tra i più feroci d’Italia. Indicare ai ragazzi una strada da seguire e incontrarli nelle scuole significa ricordare che hanno punti di riferimento sui cui contare. Seguire il suo esempio e l’insegnamento, non piegatevi mai”. Così Raffaele Sardo spiega l’importanza di questi appuntamenti che oggi, tre giorni prima del 25°anniversario di quel tremendo delitto, assumono un grande significato simbolico, culturale e sociale.

Storie che meritano rispetto, memoria e dignità in una società sempre più votata ai valori dell’individualismo e dell’arrivismo, in cui la criminalità organizzata trova ampi spazi per radicarsi attirando giovani e giovanissimi: “Oggi i messaggi della criminalità possono arrivare facilmente ai giovani perché sono attratti da miti negativi. Questo è un fenomeno a cui si contribuisce quando le mafie vengono mediate e raccontate dal punto di vista dei carnefici. Io invece dico in giro che bisogno raccontarlo in un altro modo e cioè dal punto di vista delle vittime, dei loro familiari perché i ragazzi iniziano ad interrogarsi sul fatto che quella strada che li attrae è da deboli non da forti e chi decide di seguirla o finisce in carcere o peggio al cimitero. Nei libri di storia e nei programmi scolastici – conclude lo scrittoresi dovrebbero inserire questi temi reali e attuali, perché formano il carattere e le coscienze dei nostri ragazzi”.

Quella sedia vuota che ci ricorda la sofferenza dei familiari, le ferite aperte amaramente raccontate dal figlio di Aldo Iermano, Antonio: “La nostra vittima quella mattina cambiò in un attimo. Ricordo la preoccupazione di mia madre per la scelta fatta da papà di seguire Raffaele. Ricordo la voce di mio padre mentre quella mattina ci saluta per andare a lavorare. E poi le celebrazioni, le cronache dei giornali per il clamore della vicenda presto sopito e sostituito con l’indifferenza, l’oblio. Niente più feste, compleanni, alberi di Natale, solo dolore per quella sedia vuota. Poi però – spiega Antonio Iermano l’arrivo di Libera Benevento, il sostegno e la voglia di tenere viva la memoria di Raffaele e di mio padre. Momenti come questo di oggi, la possibilità di parlare ai ragazzi, aiuta me a far sanguinare meno la ferita sottopelle sempre aperta, come se foste i miei psicologi aperti all’ascolto della mia vita”.

Antonio riprende il discorso di Raffaele Sardo sulla troppa visibilità ai carnefici: “Si parla poco delle vittime e dei loro familiari. I carnefici sono i protagonisti, di fiction, di libri, di documentari in cui gli si dà fin troppo spazio e visibilità. Bene, questo libro di Raffaele restituisce valore, volti e dignità a chi ha sacrificato la proprio vita per la legalità e l’onestà, contro le mafie e il malaffare”.

L’amore come grido di battaglia, la forza del diritto sopra il diritto del più forte, il bene come che supera l’interesse privato, la lotta contro le ingiustizie e l’esempio di un prete che ha sacrificato la sua vita per non darla vinta alla camorra e all’ingiustizia in un territorio devastato da morte e angoscia

Sono prima i ragazzi del Guacci e poi il referente di Libera, Michele Martino a ricordare la figura di Don Peppe: “Ucciso perché incompatibile con la camorra, dalla sua morte è nato un popolo che lotta senza paura. Don Peppe ha vinto”.

“Come referente di Libera – spiega Michele Martinosono spesso sopra le parti ma non con Don Peppe. E’ grazie a lui e alle prime esperienze di beni confiscati alla camorra nelle “Terre di Don Peppe” a Castelvolturno che oggi Libera agisce a Benevento e nel Sannio. Noi siamo una costola di Don Peppe che ci ha fatto guardare con occhi diversi il nostro territorio, infondendoci la responsabilità della memoria e dell’azione affinché si continui a combattere la camorra ridando voce e dignità alle tantissime vittime”.