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Riceviamo e pubblichiamo la nota stampa a firma di Raffaele Pengue, esponente di Rinascita Guardiese.

“Nel cuore del Sannio, dove la bellezza naturale si sposa con la burocrazia eterna, c’è una strada che non porta da nessuna parte. Letteralmente. Non è una metafora né una battuta da cabaret. È la bretella Cerreto-Guardia-San Lorenzo, meglio nota agli autoctoni come “la chimera asfaltata”, o – per i più scettici – “la più costosa pista ciclabile per cinghiali mai progettata in Italia”.

Tutto iniziò negli anni Ottanta, in quell’epoca dorata in cui si promettevano superstrade e autostrade in ogni campagna e sviluppo economico persino alle mulattiere. La bretella, raccontavano, avrebbe unito due arterie nevralgiche del Sannio (la Caianello-Benevento e la Benevento-Campobasso), tagliando tempi di percorrenza e inaugurando una nuova era di sviluppo. Quello che nessuno sapeva – forse nemmeno i progettisti – è che l’unica cosa a essere sviluppata, a distanza di quarant’anni, è la vegetazione selvaggia lungo il tracciato incompiuto.

Un’opera pubblica nata sotto il segno dell’ottimismo e finita sotto il segno della ruggine. Il copione è quello classico: lavori iniziati a spizzichi, sospesi per “sopravvenute necessità”, ripresi con grande entusiasmo e subito ri-sospesi per “ostacoli progettuali (una condotta idrica)”. Tradotto dal burocratese: si sono persi nei meandri infiniti di varianti su varianti, e ovviamente mancanza di fondi. Ma anche di visione. E forse di interesse reale.

Oggi, lungo il tracciato della bretella fantasma, si possono ammirare rari esempi di archeologia contemporanea: cartelli stradali sbiaditi e divelti che indicano il nulla, guardrail contorti e rugginosi come sculture post-industriali, cemento armato che si sfalda con dignità, galleria che sembrano piscine. In alcuni tratti, madre natura ha deciso di prendersi gioco dell’uomo: alberi crescono al lato della carreggiata, sterpaglie si arrampicano sui ponti e – leggenda narra – che alcune volpi e intere famiglie di cinghiali usino il tracciato per fare jogging serale indisturbate.

Ma non è solo una questione estetica. Guardia Sanframondi (e San Lorenzo Maggiore) è ancora oggi prigioniera di collegamenti viari da anni Settanta. Le aziende agricole e vitivinicole della zona – che, miracolosamente, continuano a esistere e produrre eccellenze – devono fare i conti con strade strette, tortuose, lente, a ostacoli degni della tappa del Giro d’Italia denominata “strade bianche”.

E poi ci sono i costi. Perché una strada incompiuta non è gratis. C’è chi ha guadagnato nei primi tratti realizzati, chi ha vinto appalti, chi ha inaugurato tronconi (vedi il sindaco della passata amministrazione) come se si trattasse del Ponte sullo Stretto. Ma per il cittadino, il conto è sempre inesorabile: denaro pubblico sprecato, competitività penalizzata, immagine territoriale compromessa. E tutto per una “bretella” che, ironia della sorte, è diventata simbolo dello sfilacciamento amministrativo.

Chiedersi oggi “se e quando sarà completata” è un esercizio di umorismo nero. Sarebbe più realistico chiedersi se almeno verrà disboscata prima che venga assorbita definitivamente dal paesaggio. Oppure se si intenda riconvertirla in un parco tematico: “Italia, terra delle incompiute”.

Quello che manca, in fondo, non è l’asfalto. Ma una cultura della responsabilità. Quella che non permette a un’opera di rimanere sospesa nel limbo per quarant’anni, che non chiude un occhio davanti alle discariche abusive, che non si lava le mani dopo ogni cambio di giunta o di assessorato.

È tempo che qualcuno ci metta la faccia, ma soprattutto le firme, i fondi e un cronoprogramma credibile. Perché una strada che oggi non arriva da nessuna parte racconta molto più di un’opera pubblica incompiuta: racconta una mentalità. Ed è proprio quella che va asfaltata, una volta per tutte.