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Trenta anni da una data che passerà alla storia nel mondo del calcio e non solo. Quel giorno al Maksimir non fu solo un evento sportivo, ma molto di più: Luigi Ranaldo lo ha spiegato nella sua tesi di laurea in Lingue, Lettere e Culture Comparate dopo aver studiato le lingue francese, serbo e croato.

Quel 13 maggio del 1990 furono proprio una squadra serba ed una croata a sfidarsi, in una gara dal valore sportivo relativo (Stella Rossa già campione) ma dall’intenso significato ‘politico’. Il giovane padulese, ne ha discusso con la commissione in occasione dell’ultimo, fatidico step universitario ed oggi, in occasione del trentennale, lo racconta ai lettori di Anteprima24.

“Era il 13 maggio 1990.

Era una calda domenica di calcio, ma non una domenica come tante.

Allo stadio Maksimir di Zagabria si sarebbe dovuta disputare la partita dell’anno, la più attesa del campionato jugoslavo. I padroni di casa, i croati della Dinamo Zagabria, avrebbero dovuto confrontarsi con la compagine serba della Stella Rossa di Belgrado (la Crvena Zvezda).

Quella partita, dal punto di vista della classifica, non aveva alcun valore, poiché il campionato era già stato vinto dalla Stella Rossa proprio a discapito della Dinamo Zagabria.

Ma in quella giornata di fine decennio si respirava un’atmosfera molto tesa per via della nota inimicizia tra i tifosi delle due squadre e tra le stesse società calcistiche. Ostilità che andavano ben oltre il calcio, poiché secondo molti ad affrontarsi erano due popoli diversi, due religioni, due alfabeti e due diverse concezioni dello stato e del potere.

Questo tipo di scontri, sul piano verbale e fisico, per l’efferatezza dei gesti violenti e per gli slogan, si posero non più come semplice teppismo gratuito da stadio e rivalità tra bande, bensì su un piano etnico, sociale e politico.

Ma ciò che accadde il 13 maggio 1990 è considerato da molti il principio della disgregazione dello Stato unitario di Jugoslavia, disgregazione che militarmente sarebbe iniziata un anno più tardi.

Gli hooligans della Stella Rossa iniziarono a vandalizzare lo stadio distruggendo i posti a sedere ed i cartelloni pubblicitari. Di conseguenza i tifosi della Dinamo attaccarono i rivali, scontrandosi a mani nude. Ma in un primo momento ebbero la peggio, essendo in quel settore dello stadio in minoranza.

La reazione, però, del tifo organizzato della Dinamo fu immediata.

Dalla curva alla sinistra della tribuna stampa, riservata ai padroni di casa, i Bad Blue Boys invasero il terreno di gioco, trovandosi di fronte schiere di poliziotti che iniziarono a picchiare senza remore.

Le milizie federali intervennero per separare i tifosi croati da quelli serbi, che continuarono gli atti di violenza e vandalismo. Erano però solo alcuni manipoli di hooligans, presunti supporters della Crvena Zvezda, e non tutti i tifosi serbi presenti allo stadio.

La repressione delle milizie federali sembrava avere un carattere unilaterale, essendo rivolta soltanto ai tifosi croati.

La situazione era del tutto fuori controllo.

Gli stessi giocatori croati si ribellarono a ciò che vedevano in quel momento davanti ai loro occhi, rispondendo con violenza alla violenza subìta. In particolare Zvonimir Boban, il più giovane capitano della Dinamo Zagabria di tutti i tempi, poco più che ventenne, fino a quel momento famoso per il suo autocontrollo nelle situazioni più delicate, in quegli istanti reagì anch’egli da hooligan. Sferrò due calci ad un poliziotto, rompendogli la mandibola. In un’intervista rilasciata pochi anni dopo, quando ormai era diventato il pilastro del centrocampo del A.C. Milan (la più titolata squadra di calcio italiana), espose così le sue opinioni riguardo quella giornata.

“Si, il 13 maggio. Sicuramente uno dei giorni più importanti della mia vita. Quel giorno forse entrai nella storia sportiva e politica. Tutto cominciò quando gli hooligans da Belgrado cominciarono a vandalizzare il nostro stadio. La polizia di Zagabria, che era favorevole al regime, li lasciò fare come se fosse tutto normale. Per i nostri tifosi non era affatto normale. Ma la polizia prese le loro difese. Cominciarono a picchiare i nostri tifosi. Insultai la polizia ed uno di loro mi colpì. Io reagii, lo colpii due volte e lui cadde per terra. All’epoca, sotto quel regime, il mio gesto era un suicidio. Temevo che mi succedesse qualcosa di brutto.”1

Tale interpretazione però era di parte, lontana dalla realtà degli eventi nel loro insieme.

Infatti entrambe le tifoserie non avevano atteso molto per incontrarsi e scontrarsi nelle ore precedenti alla partita. Vi furono inoltre diversi agguati ai tifosi provenienti da Belgrado durante la trasferta da parte di alcune frange di tifosi della Dinamo.

Le immagini di quel pomeriggio avrebbero fatto il giro delle TV di tutta Europa, facendo passare la notizia come semplice teppismo da stadio.

Ai media Jugoslavi però fu subito chiaro quanto quella giornata fosse importante. La chiave di lettura, data da molti opinionisti sportivi e politici, era l’intrapresa di un cammino pericoloso sulla strada del non-ritorno.

Da quel pomeriggio nulla sarebbe stato più come prima.

Il 13 maggio del 1990 fu una giornata particolare, poiché preannunciava la consacrazione all’uso strumentale che venne fatto del calcio. Si profilò, da parte di chi restava nella penombra, uno schema preciso del controllo sulle aggressive passioni dello sciovinismo, e di riflesso, anche del monopolio sulla loro utilizzazione a scopi politici o di guerra.

Di fatto la guerra in Croazia ed in Bosnia era alle porte.

Al termine di quella giornata di scontri e violenze, il bilancio fu gravissimo: oltre 100 feriti in maniera più o meno grave, decine di arresti-farsa che si risolsero con imminenti scarcerazioni.

Nel frattempo Želiko Ražnatoviƈ (in arte Arkan) si godeva il frutto di una giornata di follia: la battaglia durò ore provocando incalcolabili danni ed una frattura irrimediabile tra le parti.

Ormai qualsiasi frangia politica nazionalista ed ultra-nazionalista, in ogni area della Jugoslavia, stava usando il calcio per uno scopo preciso: distruggere la Federazione e incominciare un nuovo capitolo della storia di sei Repubbliche, non più di un solo Paese”.