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Benevento – “No, la finale non ho avuto ancora il coraggio di vederla”. Maria sorseggia il suo caffè, nella borsa ha la medaglia di bronzo appena conquistata all’Universiade. Terzo posto nella prova mixed della pistola ad aria compressa a dieci metri. Sorride, è felice e sembra spensierata. 

Sembra, appunto. Perché Maria Varricchio ha un senso di responsabilità tale da portarla a guardare già oltre. Alla prossima sfida, ad esempio, al prossimo poligono. “Sarò a casa ancora per poco, domani partirò per Suhl, in Germania. C’è la Coppa del Mondo junior e non c’è tempo per rifiatare”. Quella medaglia però la osserva, la sente sua e la condivide con Dario Di Martino, compagno di squadra napoletano nella gara che ha avuto luogo alla Mostra d’Oltremare. A seguirli in questa esperienza in qualità di allenatore è stato Roberto Di Donna, oro olimpico ad Atlanta 1996 (ricordate il clamoroso colpo di scena in finale contro il cinese Wang? Ecco il video): “E’ stato bellissimo raggiungere questo risultato – racconta Maria – Considerando la forza degli avversari, questo bronzo vale un oro. Devo dire grazie a Dario perché ho vissuto un momento stupendo e ho provato una nuova sensazione. Non mi ci vedo a fare sport di squadra, ho sempre pensato che sia giusto assumermi in prima persona la responsabilità di una vittoria o una sconfitta, ma quando vivi una gioia così intensa e la condividi in maniera totale con un compagno, ti rendi conto che si tratta di un’emozione fortissima”. 

Quando si parla di risultati, di traguardi e di gioie, sono immancabili le dediche: “Ne ho due in particolare – dice Maria con gli occhi emozionati -; la prima è per la mia famiglia, per i miei genitori che hanno sempre creduto in me. L’altra è per il presidente del poligono di Benevento, Vittorio Cavalluzzo. Mi ha aiutato tantissimo a crescere, a credere in me. E’ una persona che sarà nel mio cuore per sempre”. 

Tutto è partito da lì, dal poligono di contrada Santa Clementina. E pensare che per Maria si erano spalancate le porte della danza: “Ho iniziato a sparare all’età di 12 anni, otto anni fa. Fino a quel punto avevo fatto danza classica, ma quando mio padre mi ha parlato del poligono di tiro e ho deciso di provare, non mi ci sono separata più. Pensa che feci il saggio di fine anno e poi sparii nel nulla. Capii che la mia strada non era il ballo, ma la pistola”. 

Decisiva l’intercessione di papà Mauro e di mamma Rosetta: “Sparavano anche loro da giovani, sapevano che avrei dovuto provarci. Per questo dico che hanno sempre creduto in me. Papà ha fatto anche qualche raduno con la Nazionale, e a lui è legato anche un piccolo gesto scaramantico di cui non posso fare a meno. Ho una medaglietta di una sua gara vinta nel 1984. Non gareggio senza, e mi è persino capitato di perderla. Per fortuna l’ho sempre ritrovata, l’apprensione puoi solo immaginarla”. 

I primi dieci anni della sua vita Maria li ha vissuti in Sicilia, solo successivamente si è trasferita a San Giorgio del Sannio: “A Milazzo, per la precisione. Papà lavorava lì, poi siamo tornati nel Sannio. Sono nata a Benevento e mi sento una sannita al cento per cento”. A questo punto provo a chiederle se l’amministrazione comunale di San Giorgio, visto il grande risultato, l’abbia invitata o meno in Municipio. O se comunque il Sindaco o qualcuno degli esponenti politici l’abbia telefonata. Risponde di no in entrambi i casi, ma ci parla dei tanti altri messaggi ricevuti nell’immediato post-gara: “Quello che più mi è piaciuto è stato l’affetto che la gente comune ha mostrato nei miei confronti. Tanto calore, tanto entusiasmo. L’ho sentito sulla mia pelle e questa è la vittoria più bella di tutte”.

Una situazione per certi versi nuova. Perché oltre a definirsi poco incline alle luci della ribalta, Maria non nasconde di avvertire un pizzico d’ansia quando si trova davanti a contesti a lei nuovi. Tutti dettagli che sul poligono tendono ad affievolirsi: “L’ansia non svanisce, tutto sta nel gestirla. A volte è difficile, provi a prenderti una pausa. La mente va verso altro, viaggia libera, non riesci a controllarla”. Lo ha fatto bene, anzi benissimo, nella finale per il bronzo. A un certo punto, con la coppia indiana in rimonta e due match point già andati in fumo, la mano è scappata: “Ho fatto 7.2, un disastro. Poi però mi sono data la spinta e ho piazzato due colpi che definirei importanti. Ecco, quando riesco a risollevarmi subito è sempre bello”.

Iscritta al corso di laurea di Scienze Tecniche e Psicologiche dell’Università telematica Giustino Fortunato, Maria è una ragazza normale che sa di avere talento. Provare a farglielo ostentare, però, è impresa ai limiti dell’impossibile: “No, non ha alcun senso”, dice in maniera convinta. “Non ha senso pensare di essere arrivati, sentirsi chissà chi. E a dirla tutta non capirò mai chi lo fa. Mi ritengo una persona umile e mai mi distaccherò da questi valori. Voglio solo migliorare e lavorare per giungere, un giorno, alle Olimpiadi. So che posso farcela, inseguirò questo sogno, ma nulla arriva senza sacrificio. Ho il dovere di crederci”. 

Un dovere maturato nel tempo. A favorirlo il superamento di momenti critici: “E’ accaduto nel 2015, volevo smettere”. Lo dice a cuore aperto, come se fosse ormai una ferita rimarginata. “Il problema era legato solo allo sport. La mia mente era entrata in un tunnel buio, non vedevo l’uscita e non ero concentrata. Poi però ecco che la figura di papà Mauro si è rivelata nuovamente fondamentale. Mi ha presentato un mental coach di Carrara, Massimo Binelli. La mia vita è cambiata”. Al punto che è arrivata la chiamata delle Fiamme Oro della Polizia di Stato. E’ accaduto dopo i campionati italiani dello scorso anno, culminati con la conquista di tre ori e un argento a Bologna. “Un incarico che mi onora e mi rende orgogliosa”, dice.  

Quelle a cui sta per prendere parte saranno le ultime gare juniores, poi sarà tempo di fare il salto nella categoria senior. Non un balzo nel vuoto, perché l’ambiente è già noto all’atleta sannita: “L’ultima volta, poi, è andata benissimo. A maggio ho partecipato con la Nazionale al Pistol Trophy di Monaco di Baviera. Ho gareggiato contro avversarie di livello e sono arrivata seconda, subito dopo la campionessa olimpica in carica ma davanti all’atleta che aveva conquistato il bronzo agli ultimi Mondiali. Sì, penso sia stata la miglior gara della mia carriera”.

Nemmeno quando le si chiedono idolo sportivo e sport preferito si casca nella banalità: “Bebe Vio è il mio esempio, la sua forza ci fa capire tante cose e ogni gesto che compie è un’autentica lezione di vita. Quanto agli sport, preferisco vedere la ginnastica artistica forse anche più del tiro a segno. Questo per dire che amo quella disciplina, sono aggiornata costantemente sui risultati delle nostre ragazze e frequento pagine social per leggere news di quel settore”. 

Ma c’è qualcosa di speciale a cui pensare quando bisogna trovare la concentrazione giusta e rilassarsi? La risposta conduce verso casa: “Tornarci è sempre rigenerante, è il luogo del mio cuore e nessun posto al mondo può eguagliarlo. Ma se devo parlare della gara in sé, in questo momento direi niente. Fino a qualche anno fa pensavo a un campo di girasoli. Non uno che avevo visto davvero, un campo che creavo io stessa nella mia mente. Ora mi carico ripetendomi che posso farcela, mi do la spinta giusta”.

Come nella finale di Napoli, dove i nervi saldi hanno fatto la differenza: “Mi batteva forte il cuore, però a un certo punto mi sono detta: ‘Sì, ma il cuore non sta nel braccio, è nel petto. Ed è il braccio che serve per sparare”. Poi è successo ciò che tutti ormai sappiamo bene: ha avuto ragione lei. 

 

Di seguito alcune foto del pomeriggio trascorso con Maria Varricchio nella splendida via Traiano, nel cuore di Benevento, ai piedi di uno degli archi trionfali più belli del mondo. Che sia di buon auspicio.