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Benevento – “Non può entrare con le stampelle”. È quello che uno steward ha detto ad Antonio Medici, professionista beneventano, che giovedì scorso si era recato allo stadio San Paolo insieme alla figlia per assistere al match di Europa League tra il Napoli e l’Arsenal. L’uomo si è reso protagonista di un’animata discussione all’interno dell’impianto di Fuorigrotta quando gli è stato detto di non poter entrare nello stadio. La replica della società di De Laurentiis, affidata a una nota emessa dal club, ha difeso l’operato dello steward, chiarendo che ha applicato il regolamento. Medici, ha voluto replicare con un lungo post sul suo profilo Facebook. Questa la denuncia del commercialista sannita: “Da quando mi sono operato e poi rialzato a camminare ho fatto di tutto per condurre una vita non condizionata dall’handicap, ovvero dai postumi di un intervento piuttosto demolitivo, subito per rimuovere un osteosarcoma. Ho fatto molte delle cose che si fanno quando non si hanno handicap: studiare, laurearsi, innamorarsi, procreare, lavorare, viaggiare, amare cose come il calcio, il cinema, la musica, l’architettura, viaggiare per coltivare i propri interessi, i dubbi, per conoscere altre nazioni, stili di vita, cibi, vini, donne. Ho fatto tutto questo con le stampelle. Ho iniziato un secondo lavoro, quello di scrivere di cibo, poi un terzo. Ho organizzato e organizzo iniziative, incontri, convegni, presentazioni di libri, ho portato a Benevento il Presidente della sezione fallimentare del Tribunale di Milano, in un convegno per commercialisti, i giornalisti gastronomici Massimo Visintin, Roberta Schira, Massimo Zanichelli e non so chi altri. Ho anche organizzato rassegne cinematografiche sull’handicap. Sono stato Presidente di una associazione di handicappati, sono stato Assessore, mi sono candidato a Sindaco e non so più cos’altro ho fatto. Sempre con le stampelle. Ho fatto tutto questo dopo il tumore, con il tutore, con le stampelle”.

Poi, Medici ha continuato: “Ho visto partite in diversi stadi italiani e d’Europa, sempre con le stampelle. Viaggio in nave, in aereo, in treno con le stampelle. Scopro ora, dopo trenta e passa anni di onorata carriera sulle stampelle (io me le sono fatte fare colorate perché non sono tristi per me) che:
– non posso entrare allo stadio se non nel settore disabili (dove forse sono stato una sola volta in tutta la mia vita);
– che i disabili si possono uccidere tra loro;
– di essere sospettato dall’Assessore allo Sport di Napoli (si leggete bene, Napoli) di non aver trovato posto nel settore disabili e di aver quindi provato a forzare la sicurezza, entrando nel settore distinti con biglietto preso per quel settore come ripiego;
– che uno steward, quindi un signor nessuno, può offendermi e impedirmi di accedere allo stadio perché è sua facoltà farlo;
– che una società sportiva di serie A (ma solo come campionato calcistico perché per il resto ho seri dubbi) si possa dichiarare dispiaciuta del mio respingimento e sequestro e possa pretendere di insegnarmi regole che non sa leggere”.

Infine conclude: “Scopro, insomma, che i disabili si devono stare a casa, che io ho sbagliato per trenta anni, devo stare a casa a vedere la partita in tv perché con le stampelle allo stadio sono un pericolo. Solo allo stadio. Altrove no. Confesso di non aver mai pensato, in tanti anni, alla discriminazione, di non averla mai vissuta. Confesso che forse io fino a giovedì scorso non ero convinto di essere un disabile, uno che non può fare tutto in un paese occidentale nel terzo millennio. Non lo sapevo che ero handicappato e in quanto tale discriminabile. Perché, vedete, tutto quello che si nasconde sotto il dispiacere e la solidarietà umana di chi afferma esista una regola che possa vietarmi di entrare in uno stadio è solo discriminazione. E’ solo qualcosa che in altri termini si dice così: questo è disabile, perché vuole mischiarsi agli altri non disabili? E’ sospetto che voglia pagare quando può entrare gratis. Magari è pure falso invalido. E’ un po’ la stessa cosa che dire che è stata stuprata perché aveva la minigonna.  E’ vero, ho pianto irrefrenabilmente quella sera, fuori al San Paolo. E’ vero che ancora oggi non riesco a ripensarci senza piangere. Ho pianto raccontando ad alcuni consiglieri comunali che mi hanno chiesto, ho pianto a Pasqua a tavola. Stavo piangendo nel raccontare a ADN Kronos. E’ vero anche che non voglio tornare allo stadio e non riesco a pensare a come fare per affrontare il tema “andiamo allo stadio” con Anna Stella. La nostra storia allo stadio è iniziata nel 2010, aveva 7 anni e abbiamo visto quella che per noi è una delle partite più belle di sempre, Inter Barcellona. Era il 20 aprile 2010, esattamente 9 anni fa. Non so come e quando, ma ci torneremo in uno stadio civile e vi manderemo un selfie, caro Calcio Napoli, caro Assessore allo Sport del Comune di Napoli, Caro De Laurentis, caro buttafuori vestito di nero, pelato, cafone, fanatico. Vi manderemo un selfie sorridente, un giorno, da uno stadio del mondo”.