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Flavio Mastrocinque è un medico che sta lottando. Non è nemmeno trentenne ma tira fuori tutta l’esperienza che ha perchè ora è il momento di mettere in campo, anzi in corsia al Policlinico San Donato nel milanese, non solo le competenze mediche ma anche il cuore. Gettarlo, come si dice in gergo, oltre l’ostacolo, che ha un nome e fa paura: il coronavirus. 

“Sono un dottore in fisiopatologia cardiocircolatoria con Master in Ricerca clinica – ha dichiarato il giovane medico originario di Foglianise della quale mi occupo all’interno del policlinico San Donato nel reparto di Aritmologia dell’illustre concittadino di Benevento il Prof.re Carlo Pappone noto a livello mondiale per la cura della Sindrome di Brugada”.

Da qualche tempo, però, le cose sono cambiate e ti stai dedicando anima e corpo all’emergenza che, soprattutto da quelle parti, è diventata quasi ingestibile: “In questi giorni difficili cerchiamo di far convivere l’ordinario, con lo straordinario, quale è l’emergenza Covid-19 . Il nostro reparto di eccellenza è stato nominato Hub di riferimento per tutta la Lombardia come centro per l’aritmologia cardiaca. Questo ospedale è stato convertito in 24 ore in un Covid-19 Hospital, chiudendo tutte le attività ed i reparti tranne il nostro e mettendo a disposizione inizialmente 120 posti letto, poi divenuti più di 200, ed una nuova terapia intensiva per i casi più gravi. In tutto questo il mio lavoro coesiste con le attività per i pazienti covid, e nel nostro laboratorio di ricerca, vengono analizzati anche i tamponi del Coronavirus”.

Possiamo solo immaginare le scene, i momenti concitati, i sorrisi per un pericolo scampato ma soprattutto le lacrime per un caro che non ce l’ha fatta. “Una riflessione che mi tocca particolarmente – ha concluso Flavio Mastrocinque – è per i pazienti che si spengono lontano dai loro familiari. Quando un paziente entra in ospedale perde ogni contatto con i sui cari e nei casi più gravi in cui non vi è un lieto fine, i pazienti sono vigli e capiscono che si stanno spegnendo mentre provano una sorte di lento soffocamento/annegamento, ma non possono né vedere né parlare con nessuno e quando la morte sopraggiunge sono soli. I familiari non possono vederli né durante né dopo, i defunti vengono portati via per la cremazione.
Affido al Signore la mia preghiera personale per queste anime e per le loro famiglie ed ammiro Don Alberto Debbi che ha indossato il camice per assistere i più sfortunati in quest’ultima battaglia. C’è bisogno di tanti soldati impiegati su più fronti per sconfiggere questo nemico, che lascia vittime ma anche cicatrici nei familiari ed in tutti noi che spesso ci sentiamo inermi”.