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Solopaca (Bn) – Nel patrimonio varietale campano, i vitigni locali o autoctoni (Aglianico, Biancolella, Falanghina, Fiano, Forastera, Greco, Piedirosso, Sciascinoso, ecc…) assumono valenza plurima, legata non solo alla capacità di determinare i caratteri sensoriali e edonistici del vino, ma anche al loro valore storico, culturale e al forte potere evocativo delle tradizioni agrarie e alimentari del territorio.

Fra le regioni meridionali, la Campania è certamente la regione d’Italia con il più alto indice di agro-biodiversità vegetale.

Tuttavia, nonostante la base varietale piuttosto ampia e localmente rappresentativa, si conosce ancora poco del proprio patrimonio genetico viticolo.

Nell’ambito delle iniziative del Progetto “Risorse Genetiche Vegetali – FAO” intraprese per salvaguardare la biodiversità viticola del Mezzogiorno d’Italia, dopo un periodo di alcuni anni di interruzione, è stato sufficiente riprendere nell’ultimo triennio l’attività di esplorazione per individuare altri nuclei di origine e diffusione di risorse genetiche inespresse, dalla punta estrema del Cilento (Policastro Bussentino), fino alle coste della penisola sorrentina (Gragnano e Vico Equense), con un passaggio nell’entroterra fra le colline beneventane di Solopaca e Castelvenere.

Con particolare riferimento alla “Terra di Solopaca”, in questo incontro, quindi, verranno illustrati i risultati del lavoro di reperimento, di caratterizzazione morfologica e sulle potenzialità enologiche di nuovi ritrovati vegetali, la cui identità molecolare viene reinterpretata alla luce delle fonti storiche e del dato archeologico, attraverso una possibile ricostruzione della trama filogenetica delle medesime varietà, tanto da poter definire il sostrato viticolo culturale di pertinenza, ovvero tentare di capire l’origine, i caratteri culturali, l’evoluzione e gli spostamenti seguiti dai vitigni indagati.

Dal lavoro congiunto fra Enti di ricerca, quali il CREA e il CNR, Istituzioni locali e, soprattutto, grazie al prezioso contributo di viticoltori custodi che hanno conservato la memoria storica delle loro vigne che hanno permesso di visitare, sembra chiara emergere la consapevolezza che nel nostro Paese – nonostante la piattaforma ampelografica italiana sia caratterizzata da una larga maggioranza di vitigni tradizionalmente coltivati, come dimostrano le oltre 500 varietà ad uva da vino iscritte al Registro nazionale – diverse altre, coltivate e non, sono ancora assenti dal già ricco elenco di varietà locali minori.

Sull’importanza strategica della diversità varietale, e in particolar modo di quella autoctona, basta richiamare il recente ‘Testo Unico del vino’, la legge 12 dicembre 2016, n. 238, che ha riconosciuto come patrimonio culturale nazionale “il vino, prodotto della vite, la vite e i territori viticoli, quali il frutto del lavoro, dell’insieme delle competenze, delle conoscenze, delle pratiche e delle tradizioni…” e ha, contestualmente introdotto una definizione innovativa di “vitigno autoctono italiano”, in quanto nativo di aree delimitate del territorio viticolo, e i vigneti eroici o storici, di particolare interesse paesaggistico, storico o ambientale.  È certamente un profondo cambiamento di approccio che vede nella valorizzazione del territorio viticolo e nei vitigni autoctoni da preservare elementi identitari non solo storico-culturali ma anche strumenti concreti per accrescere lo sviluppo imprenditoriale grazie ad un’offerta commerciale di vini più ampia e differenziata ottenuti da vitigni inopportunamente dimenticati.

In tale contesto, la ricerca sia pubblica che privata, deve pertanto assumersi la responsabilità di assicurare il ricco patrimonio ampelografico ancora da scoprire, di valorizzarlo, perché sia il più possibile reintrodotto.

E con l’auspicio che la biodiversità rimanga nelle mani degli agricoltori, sia perché sono stati i pionieri della selezione delle piante e i primi coltivatori, sia perché è solo attraverso una saggia gestione della biodiversità che gli agricoltori possono garantire la sicurezza alimentare in tempi di disordine climatico, le Istituzioni locali dovrebbero cogliere le opportunità che in termini di innovazioni la ricerca mette a disposizione per veicolarle verso la crescita economica attraverso le risorse finanziarie destinate al Programma di sviluppo rurale (PSR), quale principale strumento per fornire il particolare sostegno allo sviluppo rurale di un determinato territorio.