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New York – Vedere da lontano cosa sta accadendo nel proprio paese d’origine e sapere che a breve lo stesso potrebbe succedere anche in quello di adozione. E tutto con lo stesso stato d’ansia. E’ ciò che sta vivendo Anthony Pascarella, durazzanese di nascita, trapiantato da tre anni e mezzo nello stato di New York. Manager in un’azienda di ceramica con ufficio nella centralissima Manhattan, il sannita sta vivendo a distanza il dramma coronavirus in Italia e, allo stesso tempo, sta cominciando a fare i conti con questa emergenza che ha cominciato a toccare anche gli Stati Uniti.

In Italia le famiglie stanno vivendo questo dramma – così inizia il suo racconto – mentre negli Stati Uniti c’è ancora una percezione diversa del problema. Noi siamo più preoccupati, ovviamente, perchè sappiamo quanto possa far male e quanto possa essere veloce il contagio”.

Dopo una prima fase di minimizzazione della questione, il presidente Trump è corso ai ripari e le prime decisioni restringenti stanno iniziando ad arrivare, forse in colpevole ritardo.

All’inizio la questione è stata minimizzata, sia da parte del presidente che da parte del sindaco di New York. Solo ieri sono state chiuse le scuole pubbliche ma c’è stato bisogno dell’insistenza del Governatore Cuomo e del corpo docenti. Certo in America ci sono tanti interessi economici, ma la situazione inizia a essere seria. Noi italiani stiamo ripercorrendo a New York quello che in Italia è già stato vissuto. Prime città isolate, con New Rochelle che è stato individuato come primo focolaio, insomma la Codogno dello stato di New York, altra zona critica come la California. Altra città in emergenza è Teaneck nel New Jersey. Insomma piano piano si arriva alla quarantena. Siamo pronti al lockdown ma il timore grosso è legato al sistema sanitario che diverso da quello italiano. E’ un sistema che è basato sull’assicurazione. Per il Coronavirus sono stati stanziati dei fondi ma chi non ha assistenza sanitaria si è già chiuso in auto isolamento. I costi sono incredibili, anche se Trump ha cercato di andare incontro a tutti. All’inizio erano stati fatti dei test che, però, non sono stati approvati. Oggi la comunicazione è domiciliare e solo dopo aver spiegato i propri sintomi, se viene stabilita la necessità, si informa sul luogo da raggiungere per il tampone. Insomma, si rischia l’emergenza sanitaria. E questo anche perchè non c’è la giusta informazione come accaduto in Italia. Siamo in ritardo rispetto all’Italia di due settimane e rispetto alla Cina di due mesi. Stanno già emergendo i primi casi e i numeri non sono buoni: 5 morti e 1000 casi. Temo che possano crescere vertiginosamente queste cifre”.

Altro aspetto critico negli Stati Uniti è la percezione del pericolo: i locali continuano ad essere pieni, ma una vera coscienza, un po’ come in Italia nei primi giorni dell’esplosione del coronavirus. E come nel Belpaese, anche negli Stati Uniti è stata corsa ai supermercati con gli scaffali presi d’assalto dopo i primi provvedimenti.

Grandi spese, grandi file per accaparrarsi ogni bene. Si cerca di tranquillizzare le persone sul fatto che non ci saranno problemi di approvvigionamento ma la psicosi c’è. Ovviamente mascherine e gel antibatterici sono andati a ruba, sono sempre più difficili da trovare. le aziende grosse si stanno organizzando per lo smart working ma, a livello governativo, si stanno prendendo provvedimenti a rilento per non fermare il polmone finanziario del mondo”. 

Anthony, con nome americano ma sangue sannita, non è lontano dal dramma del suo paese e della sua famiglia che è rimasta a Durazzano. Non solo, di cognome fa Pascarella, italiano in tutto e per tutto, e questo porta un po’ di diffidenza nelle persone che entrano in contatto con lui.

Non nego che un po’ di prevenzione esiste nei miei confronti. Ogni tanto mi trovo a rispondere a domande che mi mettono in una condizione di disagio. Per me, come per tutti gli italiani qui, è diventato difficile. Bisogna rassicurare tutti e pensare a chi ho lasciato in Italia. Sono molto attaccato alla mia famiglia e ai miei amici. Questa situazione ci ha unito ancora di più, anche se la preoccupazione resta, specie se dovessi entrare in quarantena, sarei da solo e loro sono in pensiero per questo. Ci supportiamo e ci consoliamo a vicenda. Ma a loro, come a tutti, bisogna sempre ricordare che dobbiamo rispettare le regole perchè questo è un problema che si risolve solo così”.