- Pubblicità -
Tempo di lettura: 3 minuti

Benevento – Tra l’osare e l’accontentarsi c’è una stanza in cui è lecito sognare. Il Benevento ha provato ad entrarci, è stato sul punto di aprire la porta ma si è ritrovato senza le giuste chiavi. Gliele ha soffiate Pedro, uno che non avrà la faccia simpatica ma fa parlare il curriculum. Unico al mondo ad aver vinto tutti i maggiori trofei per club e nazionali, sa come fregarti sul più bello, proprio quando stai pregustando la possibilità di farcela. 

E’ sulla soglia, dunque, che si è fermato il Benevento. Quando Montipò decide di oltrepassare le colonne d’Ercole del buon senso per mettersi in proprio non fa i conti con l’astuzia dello spagnolo. Ormai defilato, ‘Pedrito’ fiuta da buongustaio l’uscita del portiere novarese mettendo il mento su un piatto goloso. Tocca la palla, anticipa il numero uno e si lascia travolgere. Poco importa che il suo avversario riesca a poggiare i guantoni sulla sfera, per Ayroldi non ci sono dubbi né ragioni di averne. A quel punto a Veretout non resta che completare l’opera e attivare la più classica delle porte scorrevoli. 

La partita si decide qui, a ventuno minuti dal termine. Il tre a due che consente alla squadra di Fonseca di rimettere il naso avanti è una manna dal cielo per i padroni di casa in un momento a dir poco delicato. Poco prima Lapadula aveva fallito il possibile contro-sorpasso a tu per tu con Mirante. E Ionita, subito dopo il  penalty del francese, non avrebbe centrato la porta per il possibile 3-3 da ottima posizione. Alla fine di gol a referto se ne contano sette, ma la partita seppur decisa dagli episodi va oltre le singole situazioni. 

Una valutazione complessiva non può prescindere dall’atteggiamento, dunque accantoniamo per un attimo il risultato, severo oltre il dovuto. Il Benevento ha provato a giocare, è passato in vantaggio e non si è accontentato neanche dopo il 2-2. Avrebbe potuto fare barricate passando magari alla difesa a tre, ma in quei quattordici minuti intercorsi tra il ritrovato pareggio e l’azione del contatto Pedro-Montipò ha preferito tentare il colpaccio esponendosi inevitabilmente a ripartenze letali. Non aveva rischiato molto, per la verità, la squadra di Inzaghi, abile a gestire situazioni col fraseggio molto più di quanto lo fosse stata nelle prime uscite. 

A riprova di una mentalità che si fa sempre più chiara ci sono due dati. Il primo riguarda il possesso palla, mai così alto per la Strega (46%, che diventa 43% alla voce “predominio territoriale”). Il secondo è legato al baricentro medio. Tra primo e secondo tempo la situazione dell’undici sannita è cambiata passando da un’altezza media di 48 metri a 53 metri. Squadra più lunga nella ripresa, ma anche più pratica nel verticalizzare e attaccare gli spazi grazie all’ottimo ingresso in campo di Insigne. Una lezione che fa male ma che tornerà utile, forse, quando si ripenserà a quei quattordici minuti che stanno già dividendo i più: accontentarsi oppure osare? Sta di fatto che in un quarto d’ora Inzaghi ha pensato di poter accedere a quella stanza e sognare una notte magica. Ne è venuta fuori una grande prova di coraggio, oltre che di voglia. Sì, ma c’era Pedro si obietterà – per dirla come Lu Colombo nella sua Maracaibo. Un appunto che vale un’immagine metaforica: il trenino, alla fine, lo hanno fatto partire gli avversari.

QUI LA CRONACA DELLA PARTITA

QUI LE PAGELLE DEL BENEVENTO

QUI LE PAGELLE DELLA ROMA

QUI LE DICHIARAZIONI DI INZAGHI

QUI LE DICHIARAZIONI DI FONSECA