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L’emergenza coronavirus sta mettendo a dura prova il sistema Paese. I dati che quotidianamente vengono resi noti dalla task force della Protezione Civile parlano chiaramente di un progresso epidemico che non accenna a diminuire. Tra qualche giorno potremo capire se le misure messe in campo dal governo per contenere la diffusione del contagio sortiranno gli effetti sperati. A tal riguardo, dopo una prima fase di comprensibile disorientamento, sembra che adesso il governo abbia tracciato un quadro complessivo all’interno del quale inserire razionalmente le scelte da effettuare.

La polemica politica non è mancata e di certo non mancherà. Al netto delle posizioni dei singoli, l’emergenza coronavirus – però –  sembra aver sedimentato nella coscienza degli italiani un dato incontrovertibile: i tagli radicali operati negli ultimi trent’anni al sistema sanitario sono stati un dramma.

Sulla lunga scia di una pressione ideologica che esaltava il sistema “privato”, elevato a modello di efficienza e produttività, a fronte di un “pubblico” fonte di ogni spreco e nefandezza, la sanità è stata trattata con modelli atti a valutare le prestazioni di un’impresa. Il fatto che enti pubblici della pubblica amministrazione italiana, deputati all’erogazione di servizi sanitari, siano stati trasformati in “aziende sanitarie” rende perfettamente conto di quanto scritto sopra. Il punto è che, banalmente, esiste una differenza sostanziale tra voci di bilancio e persone in carne ed ossa. Il discorso sarebbe lungo ed articolato, ma da una ragionevole lotta agli sprechi si è passati ad un sistematico smantellamento dei presìdi sanitari pubblici sul territorio.

Come accaduto in tante altre situazioni, a pagare un prezzo salato è stato il Sannio. Tanti ricorderanno la repentinità con la quale, a seguito del piano di razionalizzazione proposto da Bassolino e firmato da Caldoro, venne dismesso l’ospedale di Cerreto Sannita. D’un tratto 70000 persone si trovarono prive del proprio ospedale di riferimento.

A questo punto appare indispensabile un cambiamento di rotta, nel senso di un potenziamento della sanità pubblica (che sta facendo fronte in maniera eroica all’emergenza). Dunque, l’ipotesi di una riapertura dell’ospedale di Cerreto Sannita deve essere messa immediatamente all’ordine della discussione. Come avevamo già sottolineato, se il numero di contagiati nel Sannio dovesse crescere (ipotesi che ovviamente non ci auguriamo), appare difficile pensare di poter catapultare tutto sull’ospedale San Pio di Benevento. L’esistenza di una struttura come quella di Cerreto Sannita, magari adibita in senso specialistico per monitorare esclusivamente i casi di coronavirus, potrebbe essere di fondamentale aiuto.  Valutata questa ipotesi, il DPCM con il quale si prevede l’assunzione immediata di migliaia di medici e di infermieri andrebbe anche a sopperire alla carenza di personale. Senza contare che un’eventuale riapertura del presidio di Cerreto avrebbe anche un importante effetto positivo sul piano “psicologico”, che in periodi di emergenza come questo non è mai un dato secondario.