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Timbravano e andavano via, allontanandosi dal luogo di lavoro senza alcun motivo e senza marcare l’uscita anticipata. Questo sarebbe stato il ‘sistema’ messo in piedi da decine di dipendenti e funzionari all’interno dell’Asl di Montesarchio.

L’attività d’indagine sfociata nei provvedimenti interdittivi recenti assunti dalla Procura della Repubblica del Tribunale di Benevento, in un primo momento, è stata coordinata dalla Procura della Repubblica del Tribunale di Avellino per reati inerenti  false certificazioni Covid e diversi rispetto al prosieguo dell’indagine ed a quelli contestabili al momento. Infatti, a seguire, grazie ad alcune intercettazioni telefoniche e ambientali, sono emerse altre ipotesi di reati ascrivibili al personale sanitario, medico, infermieristico e amministrativo dell’Azienda Sanitaria Locale di base a Montesarchio.

Sarebbe stata accertata, infatti, l’esistenza di un gruppo organizzato e collaudato, che, in modo sistematico, si sarebbe garantito, reciprocamente, la possibilità di allontanarsi arbitrariamente dal luogo di lavoro. Il sistema sarebbe stato talmente collaudato che ciascun sodale si sarebbe attivato ad effettuare la falsa attestazione, ancor prima che il diretto interessato avanzasse una richiesta in tal senso. I dipendenti si sarebbero fatti timbrare il badge da altri colleghi compiacenti, in modo da risultare sul posto di lavoro quando invece erano assenti per ritardo o per meri e futili motivi personali.

E’ emerso che l’assenteismo sarebbe stato il frutto di un accordo criminoso, fondato su una stabile organizzazione fra i 18 soggetti del personale dell’azienda sanitaria, la maggior parte provenienti dalla Valle Caudina, in cui gli associati si sono “coperti” a vicenda sistematicamente. Dall’attività sarebbe emersa l’esistenza di un vero e proprio sistema di scambi reciproci dei badge personali, con gruppi di dipendenti che vicendevolmente si scambiano il cartellino elettronico per favorire i colleghi assenti. Gli indagati erano soliti allontanarsi dalla struttura e farvi rientro anche a distanza di molte ore, senza timbrare il proprio badge, noncuranti della necessità di registrare la propria assenza, quasi si trattasse di una consuetudine legittima.

I casi di assenteismo riscontrati dagli inquirenti riguardano un periodo che va dal gennaio al maggio dello scorso anno. Gli allontanamenti dal luogo di lavoro avvenivano anche per l’intera durata del turno di servizio: sono emersi casi in cui alcuni dipendenti non si sono affatto recati al lavoro, potendo contare sull’appoggio sicuro e affidabile di altri colleghi nel falsificare la loro presenza in servizio. Da rimarcare la spregiudicatezza con cui venivano poste in essere le condotte criminose contestate, molto spesso “condite” da conversazioni telefoniche sintomatiche del clima di illeceità presente all’interno della struttura oggetto di indagini.

Risulta emblematica una conversazione intrattenuta tra due soggetti i quali cercavano di organizzarsi per la vidimazione del badge e commentavano: “Martedì se è una cosa, tu fai l’entrata poi io vengo e faccio l’uscita”. Un indagato esprimeva persino il proprio entusiasmo per aver raggiunto un accordo ideale sul sistema di rilevazione reciproco delle presenze in servizio, esclamando: “Ci siamo aggiustati”.

Insomma, un vero e proprio modus operandi degli indagati, che stabilivano le giornate in cui toccasse a ciascuno timbrare il badge altrui. In un’altra intercettazione un dipendente contatta la collega infermiera chiedendole dove avesse riposto il badge: “Quel coso”. La collega rispondeva di averlo messo “nel camice”. A questo punto l’uomo, dopo aver verosimilmente controllato le tasche del suo camice, replicava: “Apposto… apposto”, esclamando: “Come mi dimenticavo? Me ne andavo e non ti davo il coso”. 

Nella giornata di ieri si sono conclusi gli interrogatori di garanzia degli indagati, che precede la decisione del gip Gelsomina Palmieri. Il giudice dovrà pronunciarsi sulla richiesta avanzata dal sostituto procuratore della Repubblica del Tribunale di Benevento Licia Fabrizi, che ha chiesto per tutti e diciotto gli indagati, a cui contestati i reato di falso e truffa, la sospensione dell’attività lavorativa per un anno. Una decisione che in ogni caso sarà adottata nei prossimi giorni.

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