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La scuola sta attraversando un momento di svolta, l’ennesima. Dal nuovo reclutamento dei docenti al calo degli iscritti, passando dal concorso per i nuovi dirigenti fino alle discussioni sul maggiore utilizzo in classe di strumenti e metodologie didattiche più tecnologiche.

Proprio sull’ultimo punto ha destato scalpore la riflessione della Ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, sull’istuzione di una commissione di “saggi” che dal 15 settembre si è messa al lavoro per redigere le linee guida sull’uso dello smartphone in classe. Queste le dichiarazioni sull’argomento rilasciate dalla Ministra all’inizio del nuovo anno scolastico:

“Io vedo e li frequento, i ragazzi. E so che non si può continuare a separare il loro mondo, quello fuori, dal mondo della scuola. Lo smartphone è uno strumento che facilita l’apprendimento, una straordinaria opportunità che deve essere governata. Se lasci un ragazzo solo con un tablet in mano è probabile che non impari nulla, che s’imbatta in fake news e scopra il cyberbullismo. Questo vale anche a casa. Se guidato da un insegnante preparato, e da genitori consapevoli, quel ragazzo può imparare cose importanti attraverso un media che gli è familiare: internet. Quello che autorizzeremo non sarà un telefono con cui gli studenti si faranno i fatti loro, sarà un nuovo strumento didattico”.

Fin qui i buoni propositi della Ministra. Le critiche, però, non sono mancate. Dal mondo della scuola c’è chi afferma che questa concessione: “Non solo autorizza la peggiore competizione tra gli studenti, e giocoforza tra le loro famiglie, a chi si compra l’oggetto più nuovo, ma riduce di fatto la scuola ad un mercato”. E ancora: “Ci sarà un passaggio da una tecnologia come servizio offerto impersonalmente dall’istituzione scolastica ad una tecnologia come bene di consumo di proprietà del singolo studente”.

Per comprendere meglio la questione, abbiamo ascoltato due docenti di altrettanti istituti secondari di Benevento: Antonio Inglese, professore di informatica presso l’I.T.I. G.B. Bosco Lucarelli e Nicola Sguera, docente di Storia e Filosofia al Liceo Classico Pietro Giannone.

Ad entrambi abbiamo chiesto di commentare l’idea della Ministra e di raccontare come i nuovi strumenti tecnologici possano integrarsi nelle classi.

“In linea di massima sono d’accordo con la Ministra perché, per gli studenti, lo smartphone è estremamente familiare ed è ormai alla portata di tutti, cosa da non sottovalutare in una scuola bisognosa di risorse”.

Così il professore Inglese, che aggiunge: “Ovviamente come strumento didattico lo smartphone va utilizzato solo in determinati momenti programmati e con il supporto dei docenti perché il rischio è di abbassare ulteriormente il loro livello di attenzione. Inoltre credo gli stessi docenti meno giovani stiano apprendendo le nuove tecnologie con benefici e vantaggi per se stessi e per la didattica”.

“Io- conclude Inglese – faccio usare lo smartphone soprattutto in laboratorio, dove non è possibile fornire un computer ad allievo, la vedo come una nuova possibilità. L’ideale è alternare le nuove tecnologie, ad altri approcci più tradizionali. Smartphone e tablet sono potenti mezzi per fare in modo di non lasciare indietro nessuno”.

Il professor Sguera sul tema appare ancora più ‘integrato’: “Da tre anni non adotto più libri di testo per le mie discipline (storia e filosofia), se non, talvolta, classici filosofici. La normativa prevede tale possibilità. Già da anni sperimentavo l’uso dei social (gruppi chiusi e segreti su Facebook, Dropbox) per la condivisione di materiale didattico”.

“Ritengo – aggiunge Sguera – che questa sia la strada del futuro pur amando infinitamente il libro come manufatto, l’odore della carta, la colla, i segni del tempo, le tracce delle mie letture, penso che non bisogna affezionarsi alla forma esteriore che il sapere prende di volta in volta nel corso dei secoli. È in corso una rivoluzione pari se non superiore a quella gutenberghiana. La scuola ha il dovere (e in parte lo sta facendo da una decina d’anni) di rimanere al passo con i tempi, pena l’ininfluenza sui processi formativi dei giovani. I nativi digitali hanno schemi mentali e stili di apprendimento molto diversi dai nostri (Paolo Ferri). Prediamone atto. Impariamo a guidarli nel mondo iperconnesso e multimediali in cui abitualmente (e spesso inconsapevolmente) vivono”.

“Per questo – conclude il professore del Liceo Classico di Benevento – ritengo doveroso che i loro “strumenti esistenziali”, come lo smartphone o il tablet, non solo siano consentiti in classe ma diventino lo strumento principale del loro processo di formazione. «Il passato è sacro, ma il futuro indubitabilmente lo è molto di più» (Sri Aurobindo).”