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Benevento – Riceviamo e pubblichiamo la nota stampa del comitato provinciale Anpi del Sannio sui funerali di Giuseppe Crocco, l’ultimo partigiano del Sannio. Di seguito il testo:

Nella Chiesa di San Giovanni a Faicchio, si sono svolti i funerali di Giuseppe Crocco, l’ultimo partigiano del Sannio.

In un clima di solennità, priva di retorica, tra il silenzio composto di familiari, amici e compaesani, il parroco, Raffaele Liberatore, nel ripercorrere le vicende drammatiche che seguirono l’8 settembre del 1943, ha ricordato la figura di Giuseppe Crocco, riconoscendogli le alte virtù civiche che ne hanno caratterizzato il percorso, la scelta e il ruolo che ebbe nel difendere,  a costo di enormi sacrifici, la libertà del popolo italiano.

Commovente, ma anche storicamente connotato, il discorso di Amerigo Ciervo, Presidente dell’ANPI provinciale: tra ricordi personali e vicende politiche, nell’esprimere il dolore per la perdita di Caramba che, insieme ad Alfredo Festa, sono stati “la nostra protezione e il nostro scudo”, si è detto sicuro di poter esprimere, a nome di tutte le iscritte e gli iscritti dell’ANPI di Benevento, un profondo  senso di solitudine ma anche di riconoscenza nei loro confronti per aver trasmesso “ con la conoscenza e la memoria, senza paure né infingimenti,  ai più giovani” il valore di una scelta. “Quando tu e altri giovani come te – ha continuato rivolgendosi idealmente a Caramba -si sono trovati davanti a un bivio, portandosi dietro  tutto il retaggio della educazione, della cultura e di una propaganda martellante subita per un ventennio ad opera di un regime totalitario e illiberale, davanti al bivio voi avete scelto, avete fatto la scelta giusta e, cosa più importante,  l’avete fatta soprattutto per noi.”

Noi non dimenticheremo – ha concluso – il tuo impegno nella Resistenza e nella lotta per la liberazione dal nazifascismo, per la democrazia, la giustizia e la pace.”

Giuseppe Crocco, nato a Cusano Mutri l’8 novembre 1923, aveva quasi 98 anni, ma lo stesso spirito del ventenne che rifiutò, come ripeteva sempre, di indossare la camicia nera.

Arruolatosi da giovane nei carabinieri, vi era rimasto fino all’armistizio. Nel momento più drammatico della storia d’Italia, sceglie di ribellarsi alla brutalità dei nazisti e aderire alla lotta partigiana patendo, insieme ai compagni che avevano condiviso la sua decisione, la fame, il freddo e soprattutto la precarietà di una condizione che lo esponeva continuamente al rischio della vita. Si ferma a Genova, dove si trovava, fino alla sua liberazione. Tornato a casa, si sposa e si trasferisce a Faicchio, paese della moglie, dove per un periodo è anche segretario locale del PCI e dove resta fino alla sua morte.

Crocco ha vissuto intensamente e giustamente: si definiva un uomo di pace e non smetteva di rivolgersi ai giovani perché capissero quanto indispensabile fosse la libertà, quanto debole la possibilità di perderla e quanto necessaria la volontà di conservarla. Certo il Sannio, da oggi, è un po’ più vuoto e, come ha detto Ciervo, l’ANPI provinciale, in cui si riconosceva e di cui era orgoglioso iscritto con la tessera n. 1, meno rappresentato nelle proprie idealità.

Il tempo sta inesorabilmente spegnendo le voci che vissero quegli anni bui e che testimoniarono come, oltre la rassegnazione, il collaborazionismo, la complicità, altre risposte erano possibili. Furono possibili. Giuseppe Crocco è stato sempre presente ai cortei del 25 aprile, a manifestare il dissenso del passato e l’impegno del presente. L’ultima volta, quando ancora gli antifascisti poterono sfilare per le vie di Benevento prima che fosse impedito dalle norme sulla pandemia, aveva 96 anni e una vitalità, alimentata dalla passione politica, da far invidia a un adolescente.  Non si infastidiva se qualcuno lo avvicinava per una foto né se i giornalisti gli chiedevano delle interviste: sentiva con forza e senso del dovere la responsabilità etica di testimoniare quello che era stato perché non ritornasse. “Lottate contro ogni guerra e ogni dittatura”, diceva: mai, come in questi tempi difficili, il suo monito, di alto significato morale, diventa per tutti noi esempio di coraggio civile, di generosità per i giovani e di coerenza con i valori della democrazia e dell’antifascismo.