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Enzo Paolo Turchi non si è risparmiato. Ieri sera a San Lorenzo Maggiore, per la rassegna ‘Frammenti di Speranza’, il coreografo ha aperto al pubblico uno spazio intimo, scavando nei ricordi con lucidità e generosità. Si è raccontato senza filtri, parlando soprattutto della sua infanzia, delle difficoltà degli inizi, del legame complesso con i genitori, e del ruolo – oggi – di padre.

“A mia figlia non devo far mancare quello che non ho avuto io” ha detto davanti ad una piazza attenta e partecipe. “Ma le devo far capire anche che nella vita ci sono tante difficoltà da affrontare”.

Presso la suggestiva fontana di Piazza Antinora – trasformata per l’occasione in palcoscenico – il dialogo, condotto da Gabriele Di Marzo e alternato a contributi video, ha mostrato momenti pubblici e privati della lunga carriera del ballerino napoletano.

“Eravamo poveri ma felici, con la voglia di fare” ha ricordato Turchi parlando dell’infanzia. Un tempo in cui anche l’energia elettrica poteva essere un bene condiviso tra vicini: “A Natale la signora accanto ci attaccava un filo per avere un po’ di luce. Il resto si faceva con le candele. Non sempre si mangiava la sera.”

Ma il suo racconto non si è mai piegato al vittimismo. Semmai al contrario: ha restituito con chiarezza l’idea che la volontà può fare la differenza. “Il treno passa per tutti, ma devi andare in stazione”.
Ai giovani “dobbiamo insegnare loro il rispetto e il sacrificio”.
Un passaggio diretto, senza filtri, da parte dell’esponente di una generazione che ha costruito tutto col proprio sudore rivolto a chi oggi, spesso, cerca riferimenti.
E Turchi, per una sera, ha offerto la propria testimonianza non come modello, ma come strumento “per ricordare da dove si parte e per capire, davvero, dove si può arrivare”.