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“Voglio raccontare a tutti quello che è successo, voglio che tutti sappiano il dramma assurdo che ha colpito la mia famiglia, che ha ucciso Pino e che, si badi bene, non è una casualità. Mio marito da quando è iniziata la pandemia non ha mai fatto tamponi nell’istituto penitenziario presso cui lavora. Non ha mai ricevuto adeguate protezioni dal contagio sul posto di lavoro. Non è stato mai tutelato. Lo Stato lo ha fatto morire…”.

E’ la denuncia della moglie di Giuseppe Matano, il sostituto commissario che prestava servizio nel carcere casertano di Carinola deceduto,a soli 50 anni, compiuti lo scorso 23 febbraio, a causa del Sars-Cov-2.

A pubblicarla come post sul web è stato il figlio Luca, a nome della madre, Barbara Greco, che si scaglia contro le istituzioni. “Il Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute – scrive ancora Barbara Greco nel messaggio – il 7 aprile ha pubblicato un bollettino. Anche qui solo parole per i detenuti. Leggo altri articoli… si parla solo di detenuti. E del personale della Polizia Penitenziaria chi ne parla? Chi mi spiega come mai nel carcere di Carinola, dove mio marito lavorava, il 6 febbraio 2021 sono risultati positivi contemporaneamente 17 tra agenti e ispettori di Polizia Penitenziaria (di cui uno deceduto 2 giorni dopo, seguito oggi da mio marito), un infermiere ed un operatore sanitario, mentre le centinaia di detenuti sono risultati (a seguito di tamponi effettuati a tappeto) tutti negativi? Come mai l’Amministrazione Penitenziaria si è precipitata a sottoporre a tampone molecolare l’intera popolazione di detenuti del carcere dopo la scoperta di questo cluster tra agenti?”. Il post si chiude con una promessa: “non avrò pace finchè lo Stato non risponderà alle mie domande e, se come immagino, le risposte non saranno soddisfacenti, non mi fermerò e chiederò giustizia per l’omicidio (perché questo sarebbe) di mio marito”