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di Anna Rita Santabarbara

Caserta –  Alcuni lo chiamano l’oro bianco del Sud, qualcuno l’ha definito “la Fiat della provincia di Caserta”. Per tutto il mondo è la mozzarella di bufala. Quel formaggio succoso e dolce, bianco come la neve, pastoso e morbido allo stesso tempo, che piace a grandi e piccini e che compare sulle tavole degli italiani almeno una volta alla settimana (anche due se si abita al Sud).

Hanno tentato di imitarla in tutto il mondo, ma la verità è che se si vuole mangiare una “vera” mozzarella di bufala bisogna venire in Campania o quantomeno richiederla da questa zona. Lo sanno bene i consumatori di tutto il mondo: non a caso, il mercato locale ha registrato negli ultimi anni un incremento delle esportazioni estere del 40%, arrivando ai consumatori europei e spingendosi fino fuori dall’Europa, approdando persino in America. Un’eccellenza del Mezzogiorno che rappresenta un motore importante per l’economia locale e che garantisce occupazione a lungo termine in un’area in cui si registra uno dei più alti tassi di disoccupazione giovanile a livello nazionale.

Un prodotto che però merita attenzione e tutela da parte delle istituzioni e dei comparti tecnici che si occupano di controllare l’intera filiera produttiva (ASL in primis). A chiederlo sono gli allevatori di bufale che ieri si sono riuniti nella sala consiliare del Comune di Casal di Principe per un incontro formale con le istituzioni locali (rappresentate dal Sindaco di Casal di Principe, Renato Natale, e dal rappresentante sindacale allevatori, Lino Martone), regionali (presenti il Presidente della Commissione Ambiente della Regione Campania, Gennaro Oliviero, il Presidente della Commissione Sanità, Stefano Graziano, ed il Consigliere Regionale della Campania, Vincenzo Viglione) e nazionali (con la presenza di Margherita del Sesto, membro della Commissione Agricoltura alla Camera dei Deputati) per discutere sul tema dei vaccini e della sicurezza e protezione degli animali che producono il preziosissimo latte dal quale si ottiene la mozzarella.

“Vogliamo investimenti nella ricerca e misure per prevenire le malattie infettive delle bufale”, chiedono gli allevatori, preoccupati per la possibilità che nelle stalle si diffondano nuovamente epidemie di brucellosi, una malattia infettiva molto grave che genera non solo gravi sofferenze all’animale (provocando addirittura l’aborto nel caso di bufale gravide), ma anche rischi per la salute umana. Se l’animale presenta un’infezione del genere, infatti, l’ASL, che si avvale di esperti veterinari che si occupano di fare analisi e controlli capillari, emana un ordine di abbattimento che deve essere eseguito entro 15 giorni. All’allevatore viene riconosciuto un rimborso in denaro, ma, spiegano i veterinari intervenuti nel dibattito, “questo non è sufficiente. Le bufale sono una specie autoctona di queste zone. Se un allevatore di bovini riceve un ordine di abbattimento, va in Austria, sceglie i capi migliori, li compra e riparte di nuovo. Per le bufale è più difficile, perché è una specie che non si trova ovunque, per cui si rischia, in caso di abbattimento, di non avere immediatamente la possibilità di reperire capi di bestiame che possano rimettere in piedi l’allevamento”.

“Siamo favorevoli all’abbattimento”, spiega Lino Martone, rappresentante sindacale degli allevatori, “ma vogliamo avere la certezza che le bufale mandate al macello siano effettivamente malate. A volte, nelle analisi post mortem dell’animale, si riscontrano batteri differenti dalla brucellosi. Questo tipo di analisi, dunque, non è affidabile”.

Insomma, gli allevatori si vedono sottratti capi di bestiame che potrebbero non avere effettivamente contratto la malattia, stando a quanto emerso nel corso del dibattito. Non solo. Chi è riuscito ad avere il marchio DOP, ha conseguito la qualifica di “allevamento indenne”, il che vuol dire pulito, senza alcun caso di infezione negli animali. Basterebbe un solo capo malato a far declassare l’allevamento, togliendogli la qualifica di DOP e privando l’azienda dei certificati concessi dall’ASL per l’esportazione estera della mozzarella. In pratica, il focolaio di brucellosi, anche se circoscritto, mette le aziende in ginocchio e impedisce agli allevatori/trasformatori di vendere i propri prodotti oltralpe.

Ho incontrato degli allevatori a cui erano state chiuse totalmente le aziende”, denuncia l’ON. Margherita Del Sesto, membro della Commissione Agricoltura alla Camera dei Deputati, “con una perdita di 300, 400, anche 500 capi. Ed il problema non è solo economico ma anche emotivo, perché quando hai intenzione di ricominciare quel lavoro hai sempre paura che si ripresenterà la stessa problematica”. “Il problema sono i vaccini”, denunciano i veterinari.

A seguito dello scandalo dei vaccini somministrati negli allevamenti fuori dal periodo prescritto dalla legge (dai 6 ai 9 mesi del bufalo), nel 2014 partì un’inchiesta della magistratura che denunciò un “sistema di vaccinazione clandestina” che metteva a rischio non solo gli animali, ma anche l’uomo che ne consumava i prodotti. Per questo motivo, il Ministero della Salute, in accordo con la Regione Campania, decise di vietare le vaccinazioni, stando a quanto sintetizzato da una nota letta dall’On. Margherita Del Sesto, motivando la scelta come provvedimento preso in conseguenza alla citata vaccinazione clandestina, e aggiungendo che “la riduzione dal 6% del 2012 al 3,6% del 2013 ha confermato un trend positivo della diminuzione dell’infezione, che giustifica la sospensione della vaccinazione”. Tale nota era stata prodotta in risposta alla sollecitazione da parte della Commissione Europea di “continuare a vaccinare gli animali o quantomeno di attuare un programma alternativo” che permetta di individuare gli allevamenti in pericolo e circoscriverli.

Ad oggi, però, gli allevatori non possono vaccinare gli animali. L’unica via perseguibile è quella dell’abbattimento. “Non chiediamo”, dice il portavoce e mediatore del dibattito, Enzo D’Amore, “di vaccinare di nuovo in massa gli animali. Chiediamo soltanto di poter usare il vaccino laddove ci sono dei focolai. Se compare un focolaio in un’area, le aziende intorno devono poter vaccinare”.

“Credo sia opportuno l’allestimento di un tavolo tecnico e politico insieme”, propone il Presidente della Commissione Sanità, Stefano Graziano, affinché si trovi una soluzione condivisa del problema. Le aziende hanno tutto l’interesse ad avere la certificazione e ad essere in regola, perché i controlli accurati sono utili per aiutare lo sviluppo di un prodotto che è la Fiat della provincia di Caserta”.

Tutelare l’animale e il prodotto che ne deriva è una questione importante che mette al sicuro la salute di chi consuma quel prodotto”, spiega il Consigliere Regionale, Vincenzo Viglione.

E un appello alle istituzioni viene lanciato da allevatori e veterinari anche per quanto concerne la piaga della tubercolosi bufalina, che rappresenta un vero flagello perché di facile diffusione tra gli animali e rischiosa per la salute umana. “Chiediamo un investimento nella ricerca affinché l’Istituto zooprofilattico di Brescia, riferimento nazionale per questa malattia, possa mettere a punto un vaccino specifico per combattere la TBC nelle bufale”.