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“Quello che sta accadendo a me non dovrebbe succedere a nessun essere umano”. E’ sconvolto Amin Abdelli, il 29enne tunisino, o meglio “ex italiano”, vittima di un clamoroso quanto incredibile errore del Comune di Napoli – della seconda municipalità – che nel dicembre del 1988 lo registrò come italiano, pur senza avere alcun potere o competenza in merito alla concessione della cittadinanza. Un errore pagato caro da Amin 27 anni dopo, ovvero tre anni fa, quando divenuto nel frattempo chef di una nota catena di ristoranti giapponesi di sushi, voleva prendere residenza a Longone al Segrino, provincia di Como, dove avrebbe “spiccato il volo”, ma qui gli hanno detto che non poteva trasferire la residenza perché non era italiano.

Era ed è invece tunisino, ma in Italia clandestino “Mi dissero inizialmente che era un semplice errore materiale – racconta Amin – e io non diedi troppo pesi alla questione. Poi quando sono sceso nuovamente a Napoli per risolvere la vicenda ho capito quanto fosse grave. Ho girato le varie municipalità, ma tutti se ne sono lavati le mani. Da tre anni non vivo più, sono esaurito e ho interrotto anche il mio rapporto di lavoro con il ristorante. Pensare che ho formato tanti ragazzi che poi sono andati a lavorare in ristoranti di sushi persino a New York. Avrei voluto fare anch’io la stessa strada dopo gli anni difficile della gioventù; non è stato facile emergere da un quartiere come la Duchesca, ce l’aveva fatta, ma ora per un errore di altri non posso più seguire le mie aspirazioni”. Dopo tre anni passati inutilmente tra le varie municipalità napoletane, Amin quindici giorni fa si è rivolto all’avvocato Hillary Sedu, che ha contattato direttamente il sindaco di Napoli Luigi De Magistris. “Il sindaco – spiega il legale – mi ha detto ‘risolviamo, risolviamo’, ma ad oggi nulla è avvenuto. Sono pronto a chiedere 100mila euro di risarcimento al Comune per danni esistenziali”. Il legale ha inviato una lettera al Ministero dell’Interno nella quale chiede di concedere con immediatezza ad Abdelli la cittadinanza italiana, e nelle more del procedimento, di concedere tramite la Questura un permesso di soggiorno temporaneo che gli consenta di lavorare. Intanto la scorsa settimana Amin ha tentato il suicidio, e anche oggi dice, tradendo una mancanza di lucidità. “Mi sparerei in fronte, non vivo più, anche perché per quasi 30 anni non ho mai avuto sentore che i miei documenti, dal passaporto alla carta di identità, fossero non validi. Mi venivano rinnovati di volta in volta, quindi per me tutto andava normalmente. Oggi mi sento di vivere in un incubo”.