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La Corte di Cassazione (seconda sezione) non ha accolto il ricorso avanzato dalla Procura di Napoli (Direzione distrettuale antimafia) per Nicola Schiavone, accusato di associazione mafiosa, corruzione e intestazione fittizia di beni perché ritenuto un colletto bianco al servizio del clan dei Casalesi, in particolare dello storico capo del clan Francesco “Sandokan” Schiavone, nei rapporti con Rete ferroviaria italiana. Gli ermellini hanno in pratica confermato quanto stabilito dal Tribunale del Riesame di Napoli, che il 24 maggio scorso aveva parzialmente annullato l’ordinanza di custodia cautelare emessa il precedente 3 maggio dal giudice per le indagini preliminari di Napoli Giovanna Cervo nei confronti di Schiavone e altre 34 persone, delle quali 17 finite in carcere – tra queste appunto il 68enne Schiavone, il fratello Vincenzo, il boss dei Casalesi Dante Apicella e quattro ex funzionari di Rfi – altre 17 ai domiciliari e una all’obbligo di presentazione. Già in quella circostanza i giudici partenopei avevano escluso per Nicola Schiavone (difeso da Umberto Del Basso De Caro e Giovanni Esposito Fariello) il reato più importante, quello di associazione mafiosa, facendolo passare dal carcere ai domiciliari; restavano ancora in piedi l’intestazione fittizia di beni e le due ipotesi di corruzione verso funzionari Rfi, che secondo l’accusa avrebbe consentito a ditte vicine al clan dei Casalesi di avere appalti, come quello delle centraline di sicurezza e della pavimentazione stradale. Peraltro il Riesame annullò una buona parte delle ordinanze emesse, scarcerando venti giorni dopo gli arresti Vincenzo Schiavone e una decina di indagati. La Procura (sostituti Antonello Ardituro e Graziella Arlomede) ha fatto ricorso, per quanto riguarda Nicola Schiavone, in particolare contro l’esclusione dell’ipotesi associativa, ma la Cassazione lo ha respinto, annullando invece con rinvio ad un’altra sezione del Riesame la parte dell’ordinanza cautelare relativa agli altri due reati. Nel giugno scorso il Riesame annullò anche il sequestro dei beni per un valore totale di quasi cinquanta milioni di euro disposto dal Gip a carico di Schiavone e dei suoi presunti prestanome. Schiavone, storico socio e prestanome del capoclan dei Casalesi noto come “Sandokan“, di cui ha tenuto a battesimo il figlio primogenito, è ritenuto la figura centrale dell’indagine sugli appalti ad Rfi.